Titolo: "Roma 335. Via Rasella, 23 marzo 1944"
Autore: Carlo Bernari
Editore: Bulzoni editore
Introduzione di Maricla Boggio e prefazione di Enrico Bernard
Anno: 2020
Il libro é pubblicato con il contributo della SIAD

Prima di copertina
Quarta di copertina

Il libro è pubblicato con il contributo della SIAD - Società Italiana Autori Drammatici.

Introduzione - Dalla memoria personale alla drammaturgia
Maricla Boggio

“335” è uno scritto singolare, per motivi intrinseci e per il genere di scrittura.
Attraverso la richiesta di Franco Enriquez, direttore del Teatro di Roma insieme al regista Giorgio Ferrara, di scrivere un testo a trent’anni dall’episodio di via Rasella, si risvegliano in Carlo Bernari ricordi del periodo in cui si verificò l’attentato che si concluse con l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Dalla memoria personale lo scrittore passa alla drammaturgia di quella memoria.
Il pacchetto di volantini da lui gettati furtivamente nella sporta di una donnetta sul tram mentre una pattuglia tedesca vi fa irruzione diventa un momento in cui, nel testo teatrale, quel pacchetto se lo passano con sollievo le donne sfuggendo a un’ispezione. Il cappotto che Bernari si trova in casa senza sapere chi lo ha lasciato si fa, nella scrittura, simbolo di un passaggio fra uomini in movimento per preparare l’attentato. È ancora Bernari il Cronista Giudizioso che formula a sé stesso domande su quanto sta avvenendo, facendosi coro e giudice degli eventi.
È un passaggio dall’individuo singolo alla Storia, un aprirsi del privato alla dimensione della civiltà e ai suoi valori. Bernari lo ha fatto interrogando sé stesso, dopo trent’anni da allora: come le pepite d’oro nel setaccio da cui è stata scartata la sabbia, è rimasto quello che interessa ricordare, conoscere e giudicare.
Volutamente trascurata la scrittura grammaticale, e l’uso dei numeri – 1°, 2°, 3° - per i soldati, poi individuati con dei nomi, quando diventeranno personaggi: c’è fretta di comunicare, serve dire quello che succede, non l’estetica. Così per le didascalie, a indicare continui cambiamenti di luogo, con la disinvoltura della sceneggiatura cinematografica, che deve avere quella stessa capacità di successioni episodiche, si inventi poi la scena nel realizzare la scenografia, perché il tempo incalza, e i fatti premono.
Stupisce la quantità di temi che si intrecciano, nel contempo dando spazio alle riflessioni. Appare il gruppo degli intellettuali del CLN nella volontà di coesione ad affrontare il problema del governo senza concessioni “badogliane”. Non possono mancare gli operai senza cui è impossibile impedire ai partiti borghesi di cedere al fascismo. Si intravede un PC rigido ma necessario in un contesto storico che avverte come difesa.
I rapporti fra uomini e donne sono ancora improntati a moralismi pudichi, ma le partigiane cambiano la mentalità degli uomini cambiando sé stesse. Con pochi tocchi la vigliacca frode dei tedeschi nei confronti degli ebrei si manifesta in frasi da tragedia greca. La crudeltà degli invasori è tracciata con poche scariche di mitra, mentre il momento della pietà è negli scritti lasciati dai condannati, e i rapidi dialoghi si incidono come lame in chi ascolta.
Passo dopo passo, con incidenti che hanno un significato al di là del fatto, si costruisce l’evento drammatico, non senza dubbi e sofferenze. Intanto continuano le fucilazioni, il tempo è scandito da episodi di umana pietà, dove anche gli uomini di chiesa si interrogano, senza risposta. Piccoli elementi si accumulano a segnare un percorso, trascurabili all’apparenza, essenziali alla riuscita dell’evento: il netturbino, la carretta, il controllo degli orologi.
Qualcuno ha già deviato un episodio precedente che avrebbe prodotto una strage, nella consapevolezza delle rappresaglie. Ciò che conta, per Bernari, non è tanto il tragico evento che ha poi prodotto l’eccidio, ma il suo articolarsi, crescere, maturare insieme alla formazione di una consapevolezza delle coscienze. Quando si compie l’attentato di via Rasella, grottesca è la reazione del comando tedesco, non si può che ridere amaramente di loro. Sono poi quindici le vite sacrificate oltre il fatale rapporto fra i tedeschi uccisi e i destinati a saldare il debito di una legge infame, del dieci per uno. Qualcuno del gruppo forse ha tradito, ma si resta nel dubbio.
La risposta alla frase sdegnosa di Kesserling, a guerra finita, dopo la sua condanna, non poteva che essere Piero Calamandrei a scriverla con parole di pietra. Giusto che a metterle come prologo, Bernari le abbia fatte risuonare fin dall’inizio nella coscienza di chi assiste allo spettacolo. E a quel debutto con la capacità di emozionare, immagine della Storia, Valeria Moriconi, impassibile nel suo dire, aprì agli spettatori questa epopea.

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