Maricla Boggio

“D’amor sull’ali rosee”

 

Cavour innamorato e l’Opera incompiuta

Questo testo è dedicato a Frate Giacomo da Poirino che il Papa sospese e scomunicò perché aveva dato l’assoluzione in punto di morte a Cavour che era stato scomunicatoe morì in miseria e povertà

PERSONAGGI

Camillo Cavour
Nina Giustiniani Schiaffino, amante di Cavour giovane
Il marchese Stefano Giustiniani, marito di Nina
Re Vittorio Emanuele II
Fra’ Giacomo da Poirino, parrocco della Madonna degli Angeli
Bianca Ronzani, ex ballerina del Teatro Regio, compagna di Cavour
negli anni della maturità

SCENA I

Il canto “D’amor sull’ali rosee” dal Trovatore

Cavour è semisdraiato su di una chaise-longue, avvolto in un’ampia vestaglia.
Si alza con il busto, gli occhi lontani.
Parla come se si ascoltasse e ripetesse le sue parole, suggeritegli dalla memoria.

CAVOUR -
C’ero anch’io quella sera, al Teatro Regio.
Davano.... il Trovatore...

La musica del Trovatore, a folate, sollecita i ricordo.

E c’erano i nobili della Torino sabauda... le belle signore con i loro ventagli,
i senatori..., gli ufficiali del Regio Esercito...

Ride

E naturalmente c’era Vittorio Emanuele, con le sue onorificenze appuntate sul petto...
la spada al fianco... come se anche al Regio avesse dovuto affrontare il nemico...
Fuori la gente era insorta per il prezzo del pane.

Grida. Rumori... Voci concitate, confuse

VOCI -

Al pan a custa trop!
I l’uma nèn i sold!
I cit a vènta deije da mangé!
Al travail a basta nèn!
Mia famija a l’a fam!
Ia sgnùr a san nèn cosa c’a lè la fam!
Al pan! Al pan! A vènta c’a custa la metà!

Si sentivano le grida fin dentro al teatro...
Troppo caro, il pane, non riuscivano a sfamare la famiglia.
Avevano ragione, avrei dovuto provvedere...

Affannato, come a scusarsi

Ma ero troppo impegnato per occuparmi del prezzo del pane...
per aiutare la povera gente...
Dovevo riuscire a cambiare la situazione economica del paese.
Non potevo occuparmi delle piccole cose
quando avevo necessità assoluta di affrontare i problemi di fondo.
E dopo, si sarebbero risolti tutti gli altri....

Si adagia sfinito, rimanendo assorto.

SCENA II

Entra Bianca Ronzani. Abito semplice, moderno, lungo e scollato, chiaro.
Regge un vassoio con un calice e una bottiglia di Champagne.
Appoggia il vassoio sul comodino accanto alla chaise-longue.

BIANCA -
Parlavi? Segno che stai meglio...

CAVOUR -
Parlavo?... Non me ne sono accorto.
Brava, Bianca! Il mio Champagne!...
Ho una gran sete...

BIANCA -
E’ la febbre.

Versa lo Champagne nel calice, glielo porge.

Ti farà meglio del chinino...

Cavour beve a piccoli sorsi, chiudendo gli occhi.

CAVOUR -
Ah! Che delizia queste bollicine!... E che frescura...

BIANCA -
L’ho messo al fresco nella neve.
Ne compro sempre un po’. La neve delle Alpi.
Per te.

Cavour sorseggia lo Champagne, Bianca lo scruta.

Sì, parlavi... Dicevi... “Necessità assoluta”... “I problemi di fondo ...”
e che “si sarebbero risolti tutti gli altri”...

CAVOUR -
Ah! I problemi di fondo! Problemi di tanti anni fa...
Altri ne sono venuti, dopo.

BIANCA -
Ma li hai sempre risolti, tu, i problemi di fondo.
Non ti sei mai tirato indietro.

CAVOUR -
Già. Ma adesso, non ce la farò, a concludere...

BIANCA -
Che vuoi dire?

CAVOUR -
Roma.... Il Meridione..., questioni intricate....

Sospira. Beve un sorso di champagne.

Non ce la farò.

BIANCA -
Hai fatto tanto, riuscirai anche adesso.

CAVOUR -
Mi aspettavo notizie.

BIANCA -
Da chi, Camillo?

CAVOUR -
Napoleone tarda a darci un riconoscimento.
L’ha fatto l’Inghilterra. La Svizzera...
Perfino gli Stati Uniti d’America....
Lui no! Questo Regno d’Italia ormai è una realtà,
e lui non lo riconosce!
Con tante battaglie in cui è stato con noi!

BIANCA -
Non darti pena...
Ogni cosa a suo tempo.
Ah! Era venuto Frate Giacomo,
voleva salutarti.

CAVOUR -
Il parrocco della Madonna degli Angeli...

Ridacchia ironico

Salutarmi! Vuole che mi confessi, Frate Giacomo da Poirino!
Spera nel mio pentimento! “Lo scomunicato Camillo Cavour
riconosce di aver violato le leggi divine, chiede perdono
e se ne va in pace!”. No!
Non mi piegheranno con i loro ricatti!

Medita, calcolando

Ma ormai è passato tanto tempo...
Quanti anni? Una decina.
Anche i preti si sono calmati. Rassegnati, direi.

Ride amaro

A quell’epoca erano addirittura inferociti...

A Bianca, affettuoso

Tu non stavi ancora con me...

Bianca ride danzando per la stanza con grazia

BIANCA-
Non ancora... Ero una ballerina del Teatro Regio
e sognavo la gloria delle scene!
Ah! Quante delusioni, e umiliazioni... sofferenze...

CAVOUR .
Eri brava ma ingenua. Bisogna essere senza scrupoli
per riuscire in teatro. Come in politica.

BIANCA -
Poi sei arrivato tu. E mi hai salvato.

CAVOUR -
Eri disperata...

BIANCA -

recitando la disperazione

“Conte, la prego, mi aiuti!
Mio marito è l’impresario del Regio.
Era pieno di debiti... è fuggito in America...
Come farò a sopravvivere?
Sono sola... Mi aiuti, la prego...”.

CAVOUR -

Recitando

“Gentile signora, vedrò che cosa posso fare...
Ma non si preoccupi, io l’aiuterò...”.

BIANCA -
E il giorno dopo, stavamo già insieme!
Io temevo che mi avresti lasciata, forse per te
ero stata soltanto un’avventura. Ma dopo il primo incontro...
ce n’è stato un altro... e poi un altro... e un altro ancora...

CAVOUR -
Sei diventata la mia compagna. Dolce, buona...
Quante volta mi hai ridato fiducia... Nei momenti più difficili
di questa mia vita tutta quanta gettata in politica.

Tossisce abbattendosi sui cuscini

BIANCA -
La politica ti ha consumato, mio caro Camillo...
Ma ti riprenderai...
C’è ancora bisogno di te...
Soltanto tu riesci a risolvere le situazioni più intricate...

CAVOUR -
Forse non sono più in tempo.
Verrà qualcun altro, a proseguire...
La provvidenza non è proprietà esclusiva dei preti...

BIANCA -
No, per grazia di Dio non lo è ! Adesso riposati...
Io vado di là, ho un po’ di cose da sistemare...

Lo abbraccia ed esce

Cavour chiude gli occhi. Si assopisce. Sogna.

SCENA III

Voci echeggiano alonate, emergendo da un passato che si ripresenta
alla sua mente evocato dai discorsi con Bianca.

VOCI -

in sovrapposizione, ripetendosi e accavallandosi, con toni minacciosi

E’ lui... Sempre lui... Cavour!
Il matrimonio civile...
La libertà di culto... i templi per i Valdesi...
Lui fa e lui disfa...Gli piacciono le situazioni difficili....
Nomina i ministri... li dimette... Non ascolta i deputati...
Vuole tassare i redditi del Clero!
Vuole abolire addirittura tutti gli ordini monastici!....

Destato di soprassalto Cavour balza in piedi.
Parla come se il passato lo avesse riportato indietro nel tempo.
Non è più nella sua stanza ma alla Camera,
il tono è alto, sopra le righe, da discorso parlamentare.

CAVOUR -
“No, cari onorevoli, non “tutti” gli ordini monastici!
ma quelli che non si dedicano all’istruzione!
Gli ordini che non praticano assistenza agli infermi!
Il patrimonio ricavato dalla vendita di quegli immobili
lo useremo per pagare gli assegni e le pensioni
ai religiosi delle case soppresse. Così
non graveranno più sul bilancio dello Stato!
E potremo anche trovare i mezzi per sopperire ai bisogni pubblici...
Ma vi pare reagionevoleche una cinquantina di monache
possieda beni valutabili in milioni, non utilizzati,
mentre con quei denari noi finanzieremo
caserme, ospedali... istituzioni per i poveri!...”.

Si arresta ripensando. Tono di riflessione

Quanta fatica portare avanti questo tipo di riforme!...
Anche perché in Senato, di diritto!, sedevano i vescovi,
che si opponevano alla cancellazione dei privilegi della Chiesa!
E il Re!, il Re aveva paura di mettersi contro al potere ecclesiastico...
Superstizioso, come gran parte della gente... voleva ritirare la proposta,
quando è venuto fuori “il castigo di Dio”!,
la profezia di don Bosco... Era un bravo salesiano, don Giovanni,
dava un mestiere a tanti poveri orfanelli, li raccoglieva dalla strada...
ma non aveva il senso dello Stato. E così, in mezzo alla battaglia
per la cancellazione dei privilegi ecclesiastici,
don Bosco si mette a raccontare di un sogno...
aveva visto dei “funerali a Palazzo Reale”!
Poco tempo dopo quel racconto
muore Maria Teresa, la madre di Vittorio Emanuele.
Passano pochi giorni e, per una mistesriosa malattia,
muore Maria Adelaide, la regina.
Due o tre settimane dopo se ne va Ferdinando, il fratello del Re.
I preti, nelle chiese, tuonavano contro il provvedimento,
la profezia di don Bosco era il “castigo di Dio”... che si abbatteva
sulla nostra malvagità!...Ero stato io a proporre quel progetto.
Il Re voleva farmi fuori, mettere come Primo Ministro
un politico più tenero nei confronti del clero.
Ma, niente!, il Parlamento non ha accettato nessun altro.
Io sono rimasto a dirigere il Governo
e don Bosco si è guadagnata la fama di “santo jettatore”!

Siede affranto .Si versa una calice di Champagne.

Anni da allora... Battaglie e scontri, poi,
anche più duri....

SCENA IV

La musica della Norma di Bellini si effonde nell’aria; la trasporta
il vento che invade la stanza facendo volteggiare veli e tendaggi.

La voce sussurrata di Cavour giovane. Cavour ascolta rapito.

CAVOUR GIOVANE -
“Davano la Norma al Regio di Torino....
Nina mi aveva scritto una lettera, erano quattro anni
che non sapevo più niente di lei.... Un amore perduto
dopo un momento di passione,....a Genova,
quand’ero andato là come giovane ufficiale del Genio...
avevo soltanto diciannove anni...

La musica si fa più forte

Quattro anni erano passati dall’incontro con quella donna
di cui mi ero follemente innamorato
e di lei conservavo un ricordo tenero e doloroso...
in me era rimasta l’impressione
di aver perduto l’amore di tutta la vita...
dileguato... nel nulla.,,

Che stupore quella rivelazione, di lei che veniva a Torino...
Che incertezza!... Come mi avrebbe accolto?
Decisi d’impulso di cercarla, era forte il desiderio
di esprimerle tutta la mia devozione... la riconoscenza...
non osavo pensare che mi amasse ancora...
All’Opera, scriveva.... L’avrei trovata al Regio...

La musica della Norma, a ventate

Scorrevo l’immenso teatro, cercandola...
Subito la riconobbi... Era là, in un palco di prima fila...
una dama in lutto... nel volto i segni
di una sofferenza segreta... Anche lei ...attratta dal mio sguardo...
mi vide! Dieu! Quelle charme
dans ce regard, que de tendresse et d’amour!...

Le parole pronunciate dalla VOCE si intrecciano a quelle dette
direttamente da Cavour che pare via via ricordare l’episodio

CAVOUR -
En vain nos yeux tâchaient-ils d’exprimer
les sentiments des nos coeurs...
nous brûlions d’impatience...Enfin
nous restâmes un moment seuls...

Cavour chiude gli occhi ispirato, rivivendo l’attimo dell’incontro.

Dall’oscurità Nina appare d’un balzo emergendo
da un velo che cade come un fragile involucro.

Un silenzio intenso. I due si fissano.

NINA -
Qu’avez-vous pensé de moi?

CAVOUR -
Ce que j’ai pensé,
pouvez-vous me le demander?
Vous avez bien souffert.

NINA - Ai-je souffert! Oh! oui, j’ai bien souffert”.

La VOCE riprende a ricordare, mentre i due rimangono in silenzio.

VOCE -
“Queste le sole parole di cui mi ricordo.
Un momento dopo il marito di Nina entrò nel palco,
e noi non ci siamo più detti niente...”

Nina si ritrae nell’ombra.

Riprende la VOCE

“ Lasciai Nina, quella sera, pieno di speranza, d’amore,
di rimpianti e di rimorsi....
Je croyais à la constance de sa passion,
j’étais fier et énivré d’un amour si pur,
si constant et désintéressé...”.

Riprende Cavour ricordando in prima persona.

CAVOUR -
Quel marito! Non ne avevo mai conosciuti, di tipi così.

SCENA V

Nina e Stefano Giustiniani entrano in scena mentre Cavour se ne ritrae.
E’ in corso fra di loro una discussione.

GIUSTINIANI - Vedi, cara. Io non potevo non accorgermi della simpatia che hai
nei confronti di quel piemontese. E dico simpatia per eleganza.

NINA - Non te l’ho nascosta, Stefano. Anche perché
tu non mi hai mai nascosto le tue avventure.

GIUSTINIANI - Ecco! hai detto bene: avventure! Ma per te, cara,
mi pare che non si tratti di un’avventura! Ti sei innamorata,
e una donna sposata che si innamora di un altro uomo,
secondo la morale comune non è una donna seria.

NINA - Mentre un uomo, tutti lo ammirano se ha successo con le donne!
E’ la solita morale con due pesi e due misure,
e non saremo noi due a cambiare la testa della gente.

GIUSTINIANI - Né ci importa di cambiare alcunché, mia cara.
A me una sola cosa importa, oltre alla tua felicità.
Che questa romantica storia d’amore rimanga chiusa
fra quattro mura. Oh!... potete anche andare... che so,
a teatro, passeggiare per le vie del centro se hai da fare delle compere...
prendere un tè alla Villa Corvetto... Ma niente bacetti...
carezze... sguardi languidi... A casa poi, fate quel che vi pare.
Purché io sia avvertito e non esca dal mio studio
quando avrete voglia di “svagarvi”. Oppure sarò in viaggio...
Con tutti gli affari che mi aspettano, di qua e di là,
non sarà difficile metterci d’accordo.

NINA - Andrai al casinò, con una scusa in più
per gettar via un po’ di soldi. Oppure andrai al bordello,
se non ci sarà subito, pronta fra le tue conquiste
una signora a soddisfare il tuo capriccio.

GIUSTINIANI - Eh! Che cavallina nervosa!
Ti lascio la briglia sciolta, e tu cerchi di mordermi...

NINA - Ti conosco, Stefano.
Non sei così tollerante come vuoi apparire.

GIUSTINIANI - Lo sono, se ci impegnamo tutti e due
a rispettare le forme.

NINA - Ti do la mia parola.

Si stringono la mano.

So che mi vuoi bene. Ma l’affetto....
è un’altra cosa dall’amore.

GIUSTINIANI - L’affetto è importante. Anche quando l’amore passa....

NINA - Come fra noi.

GIUSTINIANI - Come fra noi. Adesso voglio parlarti
più come amico che come marito.
Questo Cavour non si è posto nessuno scrupolo
di farti diventare la sua amante.
Io non gli chiederò di rinunciare a te.
Ma a te sì, faccio una richiesta.

NINA - Una richiesta?! Che genere di richiesta?

GIUSTINIANI - Stai attenta. Uomini di quel tipo
si lasciano andare alle passioni senza controllare i propri sentimenti.
Non hanno scupoli, cercano soltanto il loro piacere.
Come si è messo con te, si metterà con un’altra
appena avrà esaurito il suo piacere con te.

NINA - Non credo che si tratti soltanto di piacere.

GIUSTINIANI - Chiamalo come vuoi: impulso dei sensi, raptus passionale,
devozione intellettuale -so che è rapito dai tuoi discorsi di fanatica repubblicana.
Appena avrai la sensazione che lui si sia stancato di te,
lascialo tu per prima! Non permettere che venga a confessarti,
con il pianto nella voce, gli occhi bassi e un gran mazzo di fiori,
che vuole riflettere sul vostro rapporto, che lo turba
per il rimorso del tradimento che ti induce a compiere come moglie...
e balle varie che gli uomini sono capaci di inventare
per liberarsi di una storia ormai sopportata con fastidio....
Mandagli tu una bella letterina, in cui gli dici
che non te la senti più di continuare il legame con lui...
e lo lasci libero di vivere la sua vita,
mentre tu rientrerai, pentita,
nella casa dove ti attendono i figli e lo sposo, pronto al perdono.

Giustiniani e Nina sono inghiottiti dall’ombra
mentre l’uomo pronuncia le ultime parole.

SCENA VI

Cavour torna in sé.

CAVOUR - Ah! Tempi passati!....

Entra Bianca

BIANCA -
Ti sei alzato? Non stancarti, il medico è stato categorico...

Cerca di condurlo al divano.
Cavour la abbraccia.

CAVOUR- Cara! Quante premure...

BIANCA -
Almeno io... I politici ti maltrattano invece di ringraziarti.

CAVOUR -
Hanno paura che io faccia fare all’Italia
il passo più lungo della gamba. Ma ormai ci siamo.

BIANCA -
Dove, Camillo?

CAVOUR -
Alla perfezione. Come ipotesi.
Manca il Papa, per completare lo stivale.

BIANCA -
Non è cosa da poco, se consideri quante regioni dipendono da lui...

CAVOUR -
Gli farà bene stringere un po’ i suoi territori...
Che cosa se ne fa di tante regioni che gli danno
continui fastidi... Sommosse.... Soldati a sorvegliare i confini...

BIANCA -
Presto o tardi se ne renderà conto.

CAVOUR -
Con le buone o con le cattive.

BIANCA -
Sono sicura che tu hai qualche progetto.

CAVOUR -
Mi piacerebbe. Ma per ora....
è già tanto se il Re potrà accettare
di trasferirsi a Firenze.... Metà strada fra noi e Roma...

BIANCA -
Ero venuta per dirti
che è tornato Frate Giacomo.
Vederti alzato mi ha distratto...
Ricevilo... se te la senti.

Ride maliziosa

Lo sai come sono tenaci
i preti quando pensano di salvare un’anima!

Cavour la stringe a sé e la bacia con trasporto

CAVOUR -
Hhh!! la mia dolce tentatrice!
Questo povero frate ti ha conquistato!

BIANCA-
E’ un monaco, sai bene che pur essendo consacrati anche loro
sono del tutto diversi dai preti,
il loro scopo è la carità.

CAVOUR -
Certo, gli ordini religiosi sono nati proprio per opporsi al potere dei Papi.
Poi però hanno tralignato. Una parte, almeno.

BIANCA -
Povero Fra’ Giacomo!
Mi sembra l’essere più innocuo del mondo...

CAVOUR - Eh! ma dietro di lui spunta il potere temporale...

Bianca sorride supplichevole, intercedendo per il Frate.

Va bene va bene non mi oppongo più.
Basta che non voglia darmi l’estrema unzione...

BIANCA -
Ti vedrà quasi guarito, non oserà!

CAVOUR - Dai, fallo passare. Ma se la tira per le lunghe,
vieni a dire che è arrivato, che ne so...

Scherzando

Garibaldi?... Mazzini?...

BIANCA -

Scherzando a sua volta

Basterà che dica il dottor Riberi...

CAVOUR -
Scapperà all’idea di incontrare
il medico che cura il Re scomunicato!

Bianca esce. Cavour passeggia nervosamente.

SCENA VII

Entra Frate Giacomo da Poirino. E’ un giovane monaco dall’aria fiera,
lo stesso volto dei garibaldini, ma come acquetato dalla tonaca nera.
Frate Giacomo si inchina a Cavour, che gli fa subito il gesto
di dargli la mano cancellando l’inchino.

CAVOUR -
Fra’ Giacomo, la ringrazio per la premura che mi riserva,
so che era già venuto a cercarmi...

FRA’ GIACOMO -
La signora Bianca mi aveva detto che lei stava riposando...
Non ho osato insistere....

CAVOUR -
Cado spesso in una sorta di dormiveglia...
Sogno cose avvenute anni e anni fa....
Poi mi ridesto e non mi pare di aver sognato,
ma di aver rivissuto momenti della mia vita passata...

FRA’ GIACOMO-
Una sorta di riflessione su quanto lei ha fatto per l’Italia, forse...

CAVOUR -
Apprezzo che lei dica così. E’ difficile per voi
riconoscere l’operato di Cavour. E se qualcuno lo fa,
rischia forse il richiamo dell’autorità ecclesiastica.

FRA’ GIACOMO -
Noi frati siamo un po’ meno sorvegliati.
Perché schivi dai posti di potere. Frati. Fratelli,
nient’altro.

CAVOUR -
Per questo lei è qui?

Fra’ Giacomo tace, appena un sorriso leggero, aspettando.

Voglio dire, senza volermi far pesare la scomunica?

FRA’ GIACOMO -
La scomunica è un atto.... come dire? “discrezionale”
che il Papa infligge a qualcuno che ritiene indegno
dei sacramenti. Ma chi può pretendere
di leggere nel cuore di un uomo per giudicarlo?

CAVOUR -
Sono cambiati i tempi in cui un cittadino
che aveva lavorato duramente per il Paese
si vedeva negare gli ultimi conforti religiosi
in punto di morte, perché aveva votato
leggi che consentivano a tutti in modo uguale,
di essere considerati secondo giustizia.

FRA’ GIACOMO -

Sommessamente

Le leggi Siccardi...

CAVOUR -
Sì, le leggi Siccardi, promulgate poco più di dieci anni fa,
dopo lotte e discussioni in Parlamento che durarono mesi...

FRA’ GIACOMO -
Era il milleottocentocinquanta...

CAVOUR -
Vedo, padre, che lei è al corrente, e mi auguro
che si sia fatta un’opinione personale di quello che significò
riuscire finalmente a superare l’esclusiva competenza della Chiesa
in materia di diritto familiare e di stato civile.

FRA’ GIACOMO -
Non ero ancora stato ordinato...
Vivevo in campagna. Ma poi
ho letto... ho capito...

CAVOUR -
Spero che lei abbia capito che cosa significò per uno Stato nascente
sopprimere i tribunali separati per gli ecclesiastici,
cancellare il diritto di asilo nelle chiese per i criminali
che vi avessero trovato rifugio...

FRA’ GIACOMO-
Sì, erano palesi ingiustizie.
Ma chi non vuole vedere, non vede.

CAVOUR -
Bravo Frate!
La saggezza del popolo colpisce con i suoi proverbi.
Non solo divenne più giusta la giustizia, con le leggi Siccardi;
anche l’economia dello Stato ricavò grandi vantaggi
cancellando una parte delle festività religiose
che impedivano ai cattolici ogni attività lavorativa
per numerose giornate dell’anno in base a una concezione
della fede fraintesa e mal riposta....

Cavour si lascia cadere sul divano in preda ad affanno.
Riposa qualche istante inseguendo i ricordi.
Con tono pacato e addolorato rievoca un episodio di allora.

Eh! caro Frate... Ci furono momenti difficili, che richiesero coraggio.
Quel coraggio per primi lo abbiamo avuto noi, confidando nella nostra coscienza:
io, capo del Governo, Giuseppe Siccardi ministro di Grazia e Giustizia,
la maggioranza del Parlamento che approvò le leggi
e il Re Vittorio Emanuele che le promulgò senza obiezioni.
Lei non sa che finimondo, le proteste del Papa che richiamò a Roma
il Nunzio apostolico... Il clero piemontese
sobillò, proprio così!, sobillò la madre e la moglie del Re
contro il sovrano minacciando il castigo di Dio...

FRA’ GIACOMO -
Un vescovo venne condannato a un mese di prigione...

CAVOUR -
Era un arcivescovo: Monsignor Franzoni! Aveva dato ordine ai preti di respingere
qualsiasi intimazione dei tribunali. Era un invito ad andare contro lo Stato.
Venne convocato davanti a un giudice istruttore e si rifiutò di comparire, più
e più volte, finché lo arrestarono e venne condannato a un mese di prigione,
come lei stesso ricordava, Frate Giacomo.

Sospira, cambia tono.

Ma i cittadini erano ben determinati a reagire alle minacce clericali.
Quando il padre servita Pittavino rifiutò di concedere l’estrema unzione
al ministro Pietro Santa Rosa, che aveva votato le leggi,
ci fu una sollevazione popolare, e l’ordine dei Serviti venne espulso da Torino.

E’ commosso al ricordo dell’amico Santa Rosa.

Pietro Santa Rosa era un mio caro amico. Una persona buona, onesta
e religiosa. Scrissi un articolo sulle terribili scene di dolore che avvennero
nella sua famiglia, straziata dalla pena per quel rifiuto...

Con tono ironico

Molte cose sono cambiate in dieci anni. Il Re è molto devoto. Più volte
ha supplicato Sua Santità di cancellare da lui la scomunica,
teme di morire in battaglia e non vuole andare all’Inferno.
E Sua Santità, benevolo, gli toglie la scomunica.
Ogni volta che facciamo una annessione di qualche terra che apparteneva al Papa,
ecco arrivargli di nuovo una scomunicata: metti e togli, e intanto l’Italia prende forma.

FRA’ GIACOMO -
Lei non va in battaglia, conte.

CAVOUR-
Infatti, non ho mai chiesto al papa di liberarmi dalla scomunica.

FRA’ GIACOMO -
E’ sempre un piacere conversare con lei, conte.

CAVOUR -
Finché si riesce a conversare, c’è ancora speranza e ancora vita.

Fra’ Giacomo si inchina.

FRA’ GIACOMO-
Temo di aver troppo approfittato del suo tempo...

CAVOUR -
Due persone così diverse come lei e me,
sono riuscite a intendersi,
forse ad aprire qualche spazio di dialogo per il futuro.

Fra’ Giacomo si inchina ed esce.

Cavour sospira vistosamente seguendo con un gesto l’uscita di Fra’ Giacomo.
Un gesto di simpatia, a significare l’impotenza a difenderlo dalle rigide direttive papali.

CAVOUR - Pouvr om... A l’avrà di sagrìn s’a veul savei dabòn l’on qu’a lé nostra storia!... A devrà chamé scusa al papa, chiel là a perdona nèn a la gent ch’a veul pensé con sua testa....

SCENA VIII

Si getta sul divano scosso da brividi di febbre. Si avvolge nella morbida coperta.
Sorride ironico.

CAVOUR -

Altri erano un tempo i miei pensieri
quando avvolto fra lenzuola candide...
riprovavo passioni indicibili...

Chiude gli occhi, in un dormiveglia sereno.

CASTA DIVA dalla NORMA si effonde nell’aria

CAVOUR -
Lei... sempre lei, Nina!... invadeva i miei pensieri... tratteneva i miei sensi...
ogni momento della giornata nell’attesa dell’incontro...
anche se impegni e studi portavo avanti
come fossero stati gli unici scopi della mia vita...

Rimane estatico immerso nei ricordi.

NINA emerge dall’ombra. Il corpo snello appare sotto una leggera camicia
di mussola bianca, i capelli sciolti intrecciati a un nastro fiorito.
Regge in una mano un candeliere acceso, e nell’altra trattiene un mazzo di fogli disordinati, scritti con una calligrafia nervosa.

NINA - Oui, je t’aime, je suis à toi:
jamais je ne me lasserai de te le dire,
ni toi de l’entendre... Ti amo,
e mai ti stancherai di sntirmelo dire!
Se prestassi attenzione ai consigli di mio marito,
sarei più riservata per meglio conservare il tuo amore.
Ma io non posso, è contrario alla mia natura,
non ho bisogno di queste miserabili precauzioni
per rianimare il tuo sentimento per me.
Il serait bien faible, en vérité, si la certitude qu’il est partagé
devait le réduire à s’éteindere.... a spegnersi...

NINA siede accanto a CAVOUR, appoggiando a terra il candeliere e i fogli.

Ho dovuto farmi luce con le candele, di nascosto da mio marito...
Lui mi aveva tolto la lampada...

La VOCE di STEFANO GIUSTINIANI, fuori campo

VOCE di Stefano Giustiniani -
Basta scrivere per stasera!
Riprenderai domani mattina, la tua lettera per quel Cavour!

NINA riprende a chiacchierare con tono complice, rivolgendosi a CAVOUR.

Giustiniani mi sorveglia, a suo modo è geloso...
Non di me!, del suo ruolo, di marito e padrone!
Ma io voglio che tu conosca tutta l’estensione del mio amore,
e tu sappia che nulla al mondo potrà farmi cambiare!
Io ti amerò sempre!

Indugia nell’aria con una carezza su CAVOUR.

E poi, se tu ti raffreddassi con me - ma è impossibile!
tu non sei come gli altri e mi hai giurato di amarmi per sempre -
io avrei la consolazione di non aver fatto niente
che possa farmi perdere la tua amicizia. Sarei sempre con te,
con un posto nel tuo cuore: solo per farmi un dispiacere
tu daresti il primo posto ad un’altra!

Gli si protende, in un abbraccio che rimane nell’aria, a distanza da CAVOUR.

Oh! Perdono! perdono! non so quello che dico!...
Io conto su di te più che su me stessa.
Oh! rivederti presto!... non aspetto che di sentirti dire
che mi ami con tutto il cuore, e nulla potrebbe cancellarmi.
Conto le ore, i giorni, vorrei affrettarne il corso.
E penso a te... sogno di te... l’avvenire.... sei tu!...

Pronunciando le ultime parole, NINA raccoglie i fogli e il candeliere,
spegne le candele e ritorna nella zona d’ombra.

CAVOUR riemerge dal sogno.

SCENA IX

CAVOUR - L’amavo... Sì, l’amavo come forse non ho amato più
nessuna dopo di lei, ma questo amore così forte e appassionato
non mi impediva di tenere altri legami. Lei era un angelo
sia pure vibrante di passione.... Ma io non volevo rinunciare
al desiderio più sensuale, alla violenza del possesso...
al rischio calcolato... la voglia di sorprendere...
la sfida ad essere scoperto riuscendo ad eludere perfino
colei che amavo così tanto - Nina - da tradirla
con una signora del bel mondo genovese...

La voce di MADAME CLEMENTINA GUASCO si fa udire,
come rubata a un discorso di alcova.

VOCE di madame GUASCO -
So che hai un’histoire con quella dama... Anna Giustiniani...
Dicono che sei molto preso...

Risata maliziosa

... ma a giudicare da come ti comporti con me...
se io fossi quella signora... avrei qualche dubbio...
Se mi vuoi, devi lasciarla! Altrimenti...
non ti vedrò più!

La risata maliziosa svanisce
La voce di CAVOUR giovane.

VOCE di CAVOUR GIOVANE -
Devo proprio scriverlo nei miei Diarii:
Madame Guasco voleva che rinunciassi a Nina. Per lei!:
bè, non ce l’ha fatta. Rinuncerei a qualunque cosa al mondo
prima di rompere con una donna come Nina.
A madame Guasco ho detto che non era possibile:
se non le andava bene, avrei cambiato la mia passione per lei
con una bellissima amicizia... una devozione e un affetto
da conservare per tutta la vita. Ed è stato così
che madame mi si è buttata di nuovo fra le braccia
senza più condizioni. E’ venuta apposta a Torino per stare con me.
E abbiamo passato insieme tre giorni
veramente gradevoli, riempiendo tutto il tempo al nostro meglio...

SCENA X

Riappare NINA, nella sua bianca camicia da notte, avvolta in una semioscurità appena illuminata da una fioca luce.

NINA - Non posso dormire, ti scrivo qualche linea che forse non riceverai mai...
Il mese di agosto si è fermato sulle nostre teste,
le sue ore sono insopportabili... Ancora otto giorni! senza di te
e poi finalmente ti vedrò di nuovo!
Vois-tu mon ange, je me trouve égoïste,
je ne puis pas te donner assez de bonheur
pour compenser les peines que je te coûterai.
Dieu sait tout! Dio sa tutto.... tutto... tutto...

NINA si allontana scomparendo nell’ombra.
CAVOUR è di nuovo presente. Si passa un mano sul volto febbricitante.

CAVOUR - Questi ricordi.... è la febbre...
Nina era fiduciosa, ingenua. Credeva nel mio amore assoluto.
Io l’amavo, davvero. Ma le attrazioni del mondo che andavo scoprendo
erano troppo forti perché vi rinunciassi quando si presentava un’occasione.
E così, per tenere a bada i miei due amori,
mi feci fare due ritratti, uno per ciascuna delle mie belle!
Posai per tutte e due contemporaneamente:
i pittori erano marito e moglie, uno più bravo dell’altro.
E quelle ore, di solito noiose, furono molto divertenti.

SCENA XI

Entra BIANCA, recando un bicchier d’acqua e un piattino con delle pastiglie e un’ostia.

BIANCA-
E’ l’ora del chinino...

CAVOUR -
Non mi pare che faccia un grande effetto.

BIANCA-
Per la febbre non c’è altro rimedio.
Il farmacista mi ha consigliato di dartelo dentro l’ostia,
non sentirai il gusto amaro.

CAVOUR prende in mano l’ostia, la alza in controluce.

CAVOUR - quasi tra sé
“Dentro l’ostia....”. Quale mistero si cela in questo piccolo tondo
quando è un prete a innalzarlo... E in nome di un potere
spirituale, di fede, quale altro potere! e che ingiustizie...

Si scuote dalla riflessione. Si rivolge a BIANCA.

Prenderò il chinino dentro l’ostia. Tu
sai sempre cosa bisogna fare, sei saggia, paziente... invisibile...
Questa società in cui io sono costretto
a rispettare mio malgrado le forme ufficiali
ti fa pagare un prezzo alto per la colpa di volermi bene...
Tu non devi apparire, io non posso parlare di te con nessuno,
neanche con gli amici più cari, perché noi non siamo sposati.

BIANCA -
In Parlamento tu avevi tentato
di attrarre l’attenzione sul matrimonio civile...
Non ci conoscevamo ancora...
Mi colpì il tuo coraggio, non era solo un tentativo
per dare libertà alla gente di sposarsi in chiesa o no...

CAVOUR -
Mi domandavo se fosse più conforme agli interessi dello Stato
e della religione che alla religione dovesse tornare più utile
la libertà assoluta, oppure l’appoggio dello Stato.

Si infervora nelle antiche discussioni con agitazione.

Nei popoli più progrediti d’Europa il progresso cattolico
si deve al fatto che la religione è separata dal potere civile.

BIANCA -
Caro, ti stai infervorando con questi discorsi.
Da allora sei riuscito a realizzare parecchi passi avanti
nei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.

CAVOUR -
Ma il matrimonio è rimasto nelle loro mani!
E chi si ama al di fuori del matrimonio,
deve provare umiliazione, come se commettesse un reato.

BIANCA -
Per amore si può sopportare.

CAVOUR -
E per amore tu sopporti di trovarti esclusa
da questa società piena di vizi, che per ipocrisia
si vanta di essere un esempio di virtù.

BIANCA -
Mi ripaghi tu di questa esclusione.
Per me sei la sola persona importante, non quei signori
che fingono di non sapere che vivi con me da molti anni...

CAVOUR -
Anche per me è un peso non portarti alle feste, ai teatri...
ai balli in maschera... Lo sai, rimango il meno possibile
ai pranzi ufficiali, faccio appena un’apparizione alle feste
di qualche nobile famiglia a cui non posso rifiutarmi
per esigenze politiche, alleanze di gruppo...
Ma per me, sei tu che conti, di te mi importa.
Ogni volta che sono trattenuto da un impegno improvviso,
non vedo l’ora di raggiungerti nella tua villa in collina...

BIANCA -
E mi mandi bigliettini scritti in fretta. Arriva la carrozza...
“Ecco! - penso subito quando scende un commesso - di nuovo una riunione...
un consiglio dei ministri inaspettato.... Quando verrà?”
E tante sere non vieni. Rimetto via le mie pietanze... il dolce
con la nuova ricetta di Parigi...

CAVOUR -
Da Parigi ti porto sempre qualche cosa che ti piace...
La mantellina di pelliccia... un cappello ultima moda...

BIANCA -
Quando ci andremo insieme, a Parigi?

CAVOUR -
Quando non dovrò andarci con il Re.

BIANCA -
Se non ci saranno più riunioni con l’Imperatore...

CAVOUR -
Napoleone è sempre molto gentile, quando andiamo da lui,
il Re ed io... In politica ormai siamo cresciuti,
il Piemonte gli può servire per mantenere gli equilibri in Europa
tra Austria, Svizzera, Inghilterra... e far emergere la Francia.
Vittorio Emanuele, quando è a Parigi... dimentica perfino la Bela Rosin...

BIANCA -Ah! la dimentica?! Come lo sai?

CAVOUR -
Una sera eravamo a teatro a vedere un balletto... io, lui e l’Imperatore.
Tu lo sai, fra le ballerine ce n’è sempre qualcuna
che cerca di sfruttare la bellezza e la gioventù..
è una vita precaria... finché è possibile devono approfittarne...

BIANCA -
Quand’ero al Regio, fra le mie compagne di balletto
certe non si lasciavano scappare l’occasione
per mettere da parte qualche soldo...

CAVOUR -
Ecco, quella sera fra le ballerine della prima fila, il Re
con il binocolo ne aveva scovata una che gli piaceva
più di tutte e l’andavaountando tutto il tempo...
A un certo punto ammicca all’Imperatore,
indica la ragazza con la mano e gli chiede sottovoce:
“Quanto costa?”.

BIANCA -
“Quanto costa”?! Come se fosse stata un bigné!

CAVOUR -
L’Imperatore allarga le braccia imbarazzato:
“Jamais j’ai payé une femme!...” risponde al Re.
Poi manda un valletto a informarsi: cinquemila franchi
pare “costasse” la fanciulla! E allora con generosità
Napoleone Terzo fece dono a Vittorio Emanuele
della ballerina dell’Opéra, migliorando così
i rapporti internazionali fra le due nazioni!

BIANCA -
Quando ballavo, io ho sempre tenuto una condotta onesta.
Ero una donna sposata e mi difendevo da quel genere di proposte.
Poi, le cose sono andate come sai...
Ti ho incontrato e il passato non lo rimpiango.

CAVOUR -
Non si deve rimpiangere niente. Si vive. Anch’io,
quanti cambiamenti in pochi anni!...
Non è stato un percorso lineare, il mio.
Pensavo che sarei rimasto tutto il tempo a sperimentare bonifiche nei campi...
a Leri, nelle mie risaie vercellesi...

BIANCA -
E invece ti ha ripreso la politica...

CAVOUR-
Mi ha ripreso, era inevitabile. Da allora
mi son sempre trascinato questa febbre,
ogni tanto tornava, poi spariva....

BIANCA-
Tu non ci facevi caso e continuavi a lavorare.

CAVOUR -
Era la stessa febbre che prendeva le mondine,
curve nell’acqua per tutta la giornata
a ripulire dalle erbacce le piantine di riso...
La politica mi ha ripreso e il lavoro è stato frenetico.
Come fermarsi? Dove trovare il tempo di indagare
su questa febbre che mi abbatte
fino a stordirmi, a esaltarmi, a togliermi le forze?

BIANCA -
Il chinico è l’unico rimedio, sono d’accordo tutti i dottori,
il tuo Rossi, il Riberi medico del Re...

Bagna l’ostia in cui racchiude la pastiglia rosata e la porge a CAVOUR.

Bevici su un po’ d’acqua... Fra qualche ora starai meglio.

CAVOUR inghiotte l’ostia, beve e restituisce il bicchiere.

CAVOUR-
Grazie, Bianca. Vado a riposarmi un po’.

Si sdraia sul divano. BIANCA lo copre con la leggera coperta.

BIANCA -
Ciau. E come dite voi piemontesi... “Qu’a deurma ben...”.

BIANCA esce.
CAVOUR cade in un sonno profondo.

SCENA XII

NINA emerge dall’ombra. Ha un abito vaporoso appena sfumato di un leggero lillà.
Fra le mani tiene un mazzetto di violette dal gambo racchiuso in una scatoletta dorata.
Agita il mazzetto sul volto di CAVOUR addormentato che ne aspira il profumo e si muove un poco nel sonno.

NINA -
Que ces fleurs t’arrivent aussi fraîches qu’elles le sont maintenant!
Che il loro profumo sia altrettanto dolce!
Non incantano che pochi istanti, e poi appassiscono per sempre...
E così che imputridisce il fiore della vita;
e allora non dobbiamo credere che rinasca
un giorno più splendente e più bello, rivestito dall’immortalità?
Nel fondo della scatoletta troverai il mio ritratto,
giudicherai della somiglianza che io non trovo sorprendente.
Comunque, ti ricorderà qualcuno che ti ha dato tutto il suo affetto più vivo...

Si allontana con una piccola corsa danzante,
poi torna accanto a CAVOUR.

NINA - come scrivendo
Non posso nasconderti la mia pena nell’aspettare una tua lettera...
So che sei in viaggio, e le difficoltà e la lontananza
impediscono a volte di scrivere... e di rispondere
come chi attende desidera e immagina...
Tu sai come il mio cuore ti appartenga
e tutta me stessa, i miei pensieri, le mie scelte politiche...
tanto che dalle mie prime convinzioni repubblicane
mi hai convinta alla tua causa, le cui ragioni
hanno trovato presa in me...
Ma devo confessarti che quei giovani
devoti alla loro causa non indietreggiano
di fronte a fiumi di sangue se dovessero attraversarli
per raggiungere il loro ideale!
Loro unica passione è la libertà, intiera, illimitata,
e non si accorgono che sono tirannici,
ma il loro carattere è più poetico del nostro!
Il mondo da governare io però lo darei a te,
perché il mio ideale sei tu!
I repubblicani pur essendo irragionevoli
hanno più entusiasmo, più fuoco,
più dedizione alla loro causa.

Il suo tono è malizioso, ciò che gli dirà è uno scherzo amoroso.

Perciò nonostante le mie risoluzioni,
nonostante la ragione e, più ancora,
nonostante i tuoi argomenti irrefragabili,
io mi sono appassionata per qualche repubblicano,
ecco i miei errori: me li perdoni, Camillo?

Fa per andarsene, facendo qualche passo di danza;
poi torna, nell’impossibilità di abbandonare il dialogo epistolare con lui.

NINA -
O yes, dear Camillo, your silence has caused me no little pain...
Non poca pena mi ha cagionato il tuo silenzio.
The fear... Il timore che tu fossi malato and, forgive me...
perdonami, quello di aver perduto il tuo amore,
assalivano il mio povero spirito.... Your happiness...
La tua felicità mi è assai più cara della mia, e se tu la dovessi trovare
con una compagna, Nina non lamenterebbe il proprio destino
- ciò non ha importanza - ma mi ripugnerebbe ferire
i teneri sentimenti di un cuore femminile...
o rievocare un ricordo spiacevole alla mente di colui
che non cesserò mai di amare...
Col tempo, tu ti sposerai certamente, ed io...
io lo troverò ragionevole. La mia vita non può durare a lungo,
essa è stata così infelice che io non solo penso alla morte senza terrore
ma anzi con una specie di delizia.
La Morte - mio ultimo amante - mi troverà bella abbastanza
per non ritardare troppo il momento del nostro incontro.
Essa sola può rendermi infedele al mio caro Camillo.
Tu allora mi perdonerai, vero?, tu mi perdonerai....
mi perdonerai.... mi perdonerai...

Si allontana scomparendo nell’ombra.

SCENA XIII

CAVOUR è immobile, addormentato e sognante. Si alza un canto che si fa sempre più forte.

Da “NORMA” di Bellini, Norma e il CORO dei Druidi, atto II scena VII

NORMA -
.....
Guerra! Guerra!
Sangue! Sangue! Vendetta!
Strage, strage!

CORO dei DRUIDI -
Guerra! Guerra! Le galliche selve
Quante han querce producon guerrier
.....

VOCE di CAVOUR, sussurrata, fuori campo
A Milano, alla Scala, il pubblico ascoltava la Norma...
Nel palco reale sedevano da padrone le autorità austriache...
La Lombardia era governata da loro, perfino i funzionari
erano austriaci e la gente non ne poteva più...
Si doveva soltanto aspettare il momento propizio,
coglierlo al volo e cacciarli tutti quanti!

Sul CORO che grida

CORO dei DRUIDI -
Guerra! Guerra!

si aggiungono le VOCI del PUBBLICO, ripetute, a più tonalità, che poi continuano anche dopo che è sfumato il CORO dei DRUIDI.

VOCI dal PUBBLICO -
Guerra! Guerra!
Guerra!!!! Guerra!!!!!

Le VOCI sfumano.
CAVOUR si sveglia ansimando. Si guarda intorno trasognato.

CAVOUR -
Me lo avevano raccontato gli amici milanesi
che stavano assistendo alla Norma...
Quando il Coro dei Druidi gridò “Guerra! Guerra!”
si aggiunsero gli spettatori
che tutti in piedi rivolti al palco reale
ripeterono quel grido carico di minacce
contro le autorità austriache...
La gente non aspettava altro che un pretesto
per cacciare l’Austria dalla Lombardia...

il CORO e le GRIDA sfumano.

Un sovrapporsi di VOCI DI GIOVANI dai dialetti diversi.
CANTi PATRIOTTICI.

E anche da noi, a Torino, si sentiva questa voglia!
Da tutte le parti d’Italia arrivavano migliaia di giovani
che non vedevano l’ora di combattere per liberare le regioni
suddite di potenze straniere e annetterle
al Regno di Sardegna, al nostro Piemonte...
Si erano radunati in piazza San Carlo... in piazza Castello...
e aspettavano...

Febbrile, cerca di concentrarsi.

E io, che cosa stavo facendo?
Io ero solo, a cercare una strada per provocare l’Austria
e fare in modo che a dichiarare guerra fosse lei...
Se non era così, nessuno avrebbe aiutato il nostro piccolo Stato:
non l’Inghilterra che non voleva inimicarsi l’Austria
senza averne un qualche tornaconto.... non la Francia
dove Napoleone ci aveva in simpatia
ma doveva fare i conti con un partito ostile alla nostra politica...

Si prende la testa fra le mani, in preda ad angoscia.

Mi torna in mente quel periodo lontano...
superato poi da tanti avvenimenti... Forse
è il bisogno di fare ordine dentro di me, prima di andarmene...
Voglio essere convinto di aver agito bene, nonostante i contrasti,
i rancori, la leggerezza per non dire l’ottusità di Vittorio Emanuele...
perché la Storia rimetta a posto ogni cosa... e non pesi su di me
l’equivoco di aver agito sconsideratamente...

Il suo ragionamento manifesta un che di esaltato, disperato e al tempo stesso gioioso, nella consapevolezza di tener dietro a un disegno che va oltre l’azione personale.
Interroga se stesso, in dialogo con la propria coscienza.

E dunque, come andò?

SCENA XIV

Dalla semioscurità si profila l’immagine di VITTORIO EMANUELE. Indossa la divisa decorata e porta in mano il cappello piumato.
Siede su di un’ampia poltrona ascoltando con distacco il racconto sussurrato.
Ogni tanto farà qualche versaccio, come un cavallo infastidito, quado gli arriveranno le parole di CAVOUR in contrasto con lui.

VOCE DI CAVOUR sussurrata, fuori campo -
Cominciò con una sciocchezza, il contrasto fra te e il Re...
Non ti andava che quella fanciullina di appena quindicianni
sposasse Gerolamo Bonaparte, donnaiolo sporcaccione
di vent’anni più vecchio di lei...

D’improvviso, non riuscendo a contenersi, VITTORIO EMANUELE sbotta, restando sulla sua poltrona, come in un processo postumo, mentre CAVOUR rimane nel suo spazio, preso dalla sua meditazione.

VITTORIO EMANUELE -
Maria Clotilde, la mia cita!... Certo che ci tenevo a quel matrimonio
per imparentarmi con Napoleone Terzo!
Cavour - i sai nèn perchè - a vourìa nèn!

VOCE DI CAVOUR sussurrata, fuori campo
Litigammo: per ripicco il Re mi disse che anche lui si era sposato:
con la sua amante, Rosa Vercellana, la “Bela Rosin”.

VITTORIO EMANUELE - risentito
A Cavour, per felu ‘ndè ‘n bestia, I l’ai dije:
“I son spousame ‘d’co’ mì! cun la Rosin!”.
‘l Papa ai tèn che mì sia nèn an t’al pécà...

CAVOUR si desta dal sogno, ma pur sveglio continua a trovarsi in uno stato di esaltazione che lo costringe a ricordare.

CAVOUR -
Vittorio Emanuele si era presa come amante la Rosin,
una contadina di Stupinigi, fin da quando aveva quattordici anni,
e voleva sposarla per ingraziarsi il Papa che lo considerava un peccatore.
Ma in quella circostanza, il matrimonio, lui se lo era inventato
per farmi un ripicco: sapeva che quella donna
mi era oltremodo antipatica, lei tramava contro di me ...

Grida alla volta di VITTORIO EMANUELE, che rimane impassibile nel suo spazio

“Chila lì!... c’am fasa nèn parlé...”
- io la ritenevo infedele al Re
e glielo dissi, a brutto muso! -
Se quell’unione con la “Bela Rosin”
fosse stata davvero celebrata, addio parentela con Napoleone!
Il Re si infuriò; i nobili mal tolleravano la “Bela Rosin”,
ma, pur sapendo che avevo tutte le ragioni per indignarmi,
ritenevano che il Primo Ministro non dovesse insolentire il Re
e calunniare la sua amante... L’incidente poi fu chiuso,
ma io e il Re per un bel po’ rimanemmo molto freddi.
Come talvolta condizionano gli eventi le piccole cose!
Da quel momento ho dovuto far tutto da solo, quasi in segreto...

Riecheggia il CORO dei DRUIDI

CORO dei DRUIDI -
Guerra! Guerra!!!

Si aggiungono le VOCI del PUBBLICO ripetute, a più tonalità, che poi continuano anche dopo che è sfumato il CORO dei DRUIDI.

VOCI dal pubblico -
Guerra! Guerra!
Guerra!!!! Guerra!!!!!

Le VOCI sfumano.

CAVOUR -
Senza informare troppo il Re, cominciai a chiamare alle armi
le classi di riserva, per preparare l’esercito... I ragazzi volontari
non erano più considerati pericolosi agitatori perseguitati dalla polizia,
ma agenti che il Ministero degli Interni pagava e organizzava...
Per mia fortuna avevo amici in tutta Europa: i miei viaggi in gioventù,
a Londra e a Parigi, adesso mi tornavano utili per segrete alleanze
fondate su rapporti personali... Lavorai per mesi senza alzare lo sguardo
dalle carte geografiche, dai rapporti che mi venivano portati
dai miei collaboratori più fedeli sulla situazione delle finanze,
e sull’umore delle potenze che contavano, oltre alla Francia.
Stava arrivando un momento fatale, poteva avvenire tutto oppure niente.
Le nazioni d’Europa dovevano riunirsi per decidere della nostra sorte.
Inghilterra, Austria, Prussia e Russia si sarebbero incontrate, insieme alla Francia,
per decidere del Piemonte, e noi a quell’incontro non eravamo invitati!
Tutti avevano decretato che mandassimo a casa i soldati;
anche la Francia ci aveva abbandonato, e insisteva per il disarmo...
Io ero sfinito, privo di speranze. Invece di cercare insieme a me
una qualche soluzione, Vittorio Emanuele, dall’alto
della sua vuota regalità mi mandava lettere maligne...

Dal suo scranno VITTORIO EMANUELE lancia frasi cariche di sarcasmo

VITTORIO EMANUELE -
Caru cunt, mi pare che siamo a mal partito.
Quel cane di imperatore si burla di nostro figura!
Vi è qualcosa purtroppo che me lo dice da lungo tempo
e le sue assicurazioni imperiali non mi hanno mai convinto.

CAVOUR - tra sé rabbioso
Adesso! parla. Non si è mai occupato davvero di quale strategia
dovevamo servirci per realizzare il progetto dell’Italia
e il nostro migliore alleato, lui subito lo liquida!

VITTORIO EMANUELE prosegue nella sua lettera maligna

VITTORIO EMANUELE -
Coraggio, però, non tutto è ancora terminato
e talvolta vi arriva la fortuna
mentre uno se l’aspetta di meno.
Però l’imperatore è una carogna!
Per cunsulélu, intanto, caru cunt,
i l’hai mandaje ‘na béla bestia.

Il nitrito di un cavallo.
VITTORIO EMANUELE si ritira nell’ombra.

CAVOUR -
E mi mandò un cavallo! Come se avessi avuto il tempo
di cavalcare divertendomi al maneggio!
Continuai a lavorare senza sosta. Ero sulla soglia dello sfinimento,
non vedevo vie d’uscita; come Parigi anche Londra premeva:
si doveva accettare il disarmo! Mesi di tensioni, di amarezze...
di notti insonni mi avevano scosso... era sparita la mia voglia di vivere...
Decisi di morire. Mi chiusi in casa,
ordinai che non facessero entrare nessuno...
cominciai a bruciare le carte...

Una fiammata, sullo sfondo, evocata dalla frase di CAVOUR

Ma gli amici forzarono il divieto, irruppero nella mia stanza
e mi salvarono. Ripresi a lottare, di nuovo, come prima.

L’ECO della VOCE di VITTORIO EMANUELE , inghiottito dal buio.

VOCE DI VITTORIO EMANUELE alonata, ripetuta, lontana -
“Talvolta vi arriva la fortuna...
mentre uno se l’aspetta di meno...”.

CAVOUR -
E la fortuna, davvero, arrivò!
Impaziente di stravincere, l’Austria ci mandò un ultimatum!:
interrompeva ogni trattativa diplomatica e sceglieva la forza!
Massimo D’Azeglio stava a Londra come nostro rappresentante:
subito mi telegrafò pieno di giubilo:

Il ticchettìo ritmato del telegrafo.

“L’ingiunzione dell’Austria
è stato uno di quei terni al lotto che accadono una volta in un secolo!”.
Naturalmente l’ultimatum fu respinto e il Parlamento
votò i pieni poteri all’unanimità. Il governo di stampo liberale
diventò di colpo un governo di guerra sostenuto da tutti i partiti!
La Francia non aspettava altro, e immediatamente partì in nostro aiuto,
io corsi a Genova e incontrai Napoleone arrivato da Parigi.
L’Imperatore mi abbracciò...

VOCE dell’IMPERATORE -
Vous devez être bien content!
I vostri piani si realizzano!

Di nuovo si sovrappongono il CORO dei Druidi e le VOCI del PUBBLICO della Scala
sulla musica della NORMA

Guerra! Guerra!
....
Guerra! Guerra!!!

CAVOUR si allunga sfinito sul divano e si addormenta.

SCENA XV

La luce rischiara la stanza. Una banda militare suona una marcetta passando sotto le finestre del Palazzo.

CAVOUR si sveglia.

Entra BIANCA.

BIANCA -
Sta passando il plotone. C’è il cambio della guardia a Palazzo Reale.

CAVOUR -
Finalmente dei soldati marciano al suono di una banda
senza andare a morire.

BIANCA -
Soprattutto per merito tuo.

CAVOUR -
Questo è un po’ troppo. Però...

Sospira

Sai, ho avuto un sogno. Di quel periodo confuso... pieno di incertezza...
quando l’Austria ci diede l’ultimatum. E noi lo rifiutammo.

BIANCA -
E ci fu la guerra.

CAVOUR -
La guerra. Come volevo io. Perché non aspettavo altro
che l’Austria facesse quel passo falso: l’ultimatum
invece di usare le vie diplomatiche.
Noi eravamo d’accordo con la Francia
che ci venne subito in aiuto. Voleva liberarsi
dell’Austria, superarla in potenza.
Anche Torino corse il rischio di essere assediata...

BIANCA -
Noi stavamo già insieme. Per difendere la città
avevi fatto costruire delle barricate...
mobili... alberi... inferriate... in mezzo alla strada...
La gente buttava giù dai balconi tutto quanto poteva servire...

CAVOUR -
Gli uffici pubblici stavano per essere evacuati...
Il Governo, via da Torino! In quel momento
era necessario che i soldati stessero all’erta
per impedire agli austriaci di avanzare,
e il Re, cosa fa? Ordina la ritirata di tre divisioni!
Certo, il suo scopo era di salvare l’esercito,
ma ci mise in un rischio tremendo.

BIANCA -
Poi se ne pentì subito, mi pare.

CAVOUR -
Lo dissuasero La Marmora e Cialdini.
Lui si vergognò di aver commesso quell’errore pazzesco
e di essersi dimostrato un pauroso. Revocò l’ordine.

BIANCA -
Ma tu non gliel’hai perdonato.

CAVOUR -
Ero indignato. E glielo scrissi.
Mi rispose pieno di rabbia. Lettere molto pesanti.

Dall’oscurità, impennacchiato e possibilmente a cavallo, emerge appena visibile
VITTORIO EMANUELE che caracollando sul destriero, grida le sue frasi alla volta di CAVOUR.
Sulla voce di VITTORIO EMANUELE, a tratti vi si aggiunge quella di CAVOUR
che attinge dal ricordo le frasi del Re.

VITTORIO EMANUELE - poi anche CAVOUR
Sappia che la sua lettera mi dispiacque.
Sappia che è ridicolo fare progetti e teorie
da Torino, mentre che noi che siamo sul posto
ci caviamo la pelle per fare il nostro dovere!

CAVOUR -
Fossero stati tempi normali
un uomo di cuore avrebbe avuto una sola risposta:
far rassegnare il suo portafoglio ai piedi del trono.

BIANCA -
Cioè dare le dimissioni da Primo Ministro.

CAVOUR -
Glielo feci sapere, al Re. E mi ricordo molto bene
quello che gli scrissi, perché ero consapevole
della gravità del momento.
“Nelle attuali contingenze un ministro
ha l’obbligo di rimanere al suo posto fino a che ha la coscienza
di poter cooperare efficacemente al trionfo
della causa nazionale, adempiendo ai suoi doveri”.

BIANCA -
Insomma sei rimasto, nonostante le provocazioni del Re.

CAVOUR -
Sì, lui mi rispose con il solito tono ironico e faceto...

VITTORIO EMANUELE caracollando sul suo destriero, con voce stentorea.
La voce di CAVOUR si sovrappone ricordando.

VITTORIO EMANUELE - poi anche CAVOUR
Pare che lei mi consideri un grande asino nel mio mestiere...
Così, caru cunt...lei avrà le nuove, ma io non scriverò più!

BIANCA -
E quindi, in piena guerra, tu e il Re non vi parlavate!?

CAVOUR -
Così è stato. Con grave danno per l’intero periodo.

BIANCA -
Queste cose vengo a saperle solo adesso. Eppure
cercavo di esserti vicina...

CAVOUR -
Era una situazione delicata. Esteriormente
i nostri rapporti dovevano apparire in armonia. Per fortuna,
quello che davvero contava era la forza dell’armata piemontese,
i suoi generali, e i soldati... quelli arruolati e i volontari, i garibaldini....
E lui, Garibaldi, che aveva una fama leggendaria e venne nominato generale.

BIANCA -
Hai sempre avuto un rapporto... ambiguo con Garibaldi.

CAVOUR -
Direi ambivalente.
Lo apprezzavo, ma ne temevo l’irruenza,
l’ingovernabilità... Soprattutto temevo le reazioni
della Francia e dell’Inghilterra, che lo consideravano
pericoloso rispetto alla loro visione dell’Italia,
una bella “confederazione” di staterelli, ciascuno
con il suo sovrano indipendente, compreso il Papa.

BIANCA -
Ormai queste cose sono state superate.

CAVOUR -
Non tutte, lo sai bene.

BIANCA -
La situazione con il Papa...

CAVOUR -
La “questione romana” e Roma capitale,
come vogliono anche le altre nazioni...
Poi, il Meridione, un problema a più livelli
che ci vorranno secoli a risolvere.

BIANCA -
Tu hai fatto la tua parte.

CAVOUR -
Ho fatto la mia parte e ho lasciato spazio
a chi magarinon meritava tanto....
Se penso a certe azioni avventate di Vittorio Emanuele!:
Ha firmato l’armistizio di Villafranca
senza dirmi niente!, il Re ha nascosto
al suo Primo Ministro le condizioni della pace!

BIANCA -
Tu sei partito, di notte da Torino,
per raggiungerlo sul campo di battaglia.

CAVOUR -
Fin oltre Mantova... a Monzambano...
per capire che cosa si era ottenuto...

BIANCA -
Avevi lasciato Torino ansioso, preoccupato...

CAVOUR - via via immedesimandosi nell’antico avvenimento, sempre più agitato
Il Re mi mostra il foglio su cui aveva trascritto il trattato.
Io lo leggo, getto la carta sul tavolo e mi metto a imprecare.
Napoleone l’aveva tradito!, cerco di farglielo capire:
a noi aveva lasciato solo la Lombardia, mentre sul Veneto
rimaneva il dominio degli Austriaci! Decido allora
di dare le dimissioni, dato che il Re si era comportato
come un antico sovrano assoluto...Mi lascio trasportare dall’ira...
prendo a calci le sedie...

Si muove per la stanza continuando a parlare con agitazione

... gli rinfaccio la sua avversione personale verso di me,
gli intrighi con Rattazzi per togliermi il governo... le trame
della Bela Rosin... che non mi può vedere!

Grida come se si rivolgesse davvero al RE, che nella sua esaltazione
è lì, davanti a lui.

Sono io il vero artefice della politica italiana! Io! Non lei!
Chi conoscono gli italiani? Eh?, chi conoscono? Me! conoscono!
Soprattutto me! Io sono il vero Re! A l’ha capì? Io sono il Re!

VITTORIO EMANUELE sceso dal suo destriero si sporge minacciosamente
verso CAVOUR dalla sua postazione

VITTORIO EMANUELE -
Chiel a l’è al Re? Chiel a l’è ‘n birichìn!

CAVOUR - E io do le dimissioni!

VITTORIO EMANUELE - Chiel ca vada a doeurme, tant i sun sempre mi,
al Re, c’a venta chi resta e mi i peus nèn andémne.

Dà una frustata al cavallo che nitrisce, e scompare nel buio insieme a VITTORIO EMANUELE.

BIANCA ride di gusto guidando CAVOUR fino alla chaise-longue

BIANCA -
“Chiel a l’è al Re? Chiel a l’è ‘n birichìn”! Spiritoso il sovrano!
In fondo, un uomo semplice... uno che si lasciava imbrogliare.

CAVOUR -
Mi ha rovinato la vita, quell’uomo,
con la sua ottusità! la sua testardaggine!

BIANCA -
Sono storie passate. Il Re ormai da anni
non si fida che di te...

CAVOUR -
Siamo due vecchi che sanno tante cose l’uno dell’altro...

BIANCA -
Riposati, adesso.Ti sei stancato.

CAVOUR -
Mi fa bene ricordare. E’ una conferma
che ho vissuto.

Con un gesto affettuoso BIANCA esce.

SCENA XVI

La voce di CAVOUR giovane, sussurrata -

VOCE di CAVOUR giovane -
“Le bien réel est souvent tout près du mal...
Les moments pénibles sont des passages forcés
aux champs de la joie...”

CAVOUR rimane assorto.

CAVOUR -
Sono passati quasi trent’anni
da quando ho scritto queste parole...
Nina era sola, disperata... Il marito la teneva prigioniera...
I genitori volevano che rinunciasse a me
per il buon nome della famiglia...
Io l’amavo, ma amavo anche la mia libertà,
i viaggi, gli impegni politici... il gioco...
i tradimenti... E lei non ha resistito...

NINA appare vestita a lutto. Fra le mani tiene dei fogli da lettere
scritti con la sua fine calligrafia.
Si avvicina a CAVOUR e gli fa una carezza. Lui cerca di afferrarla,
lei si allontana ridendo, ma come uscendo dal pianto

NINA -
“Le bien réel est souvent tout près du mal...
Les moments pénibles sont des passages forcés
aux champs de la joie”...
Me lo hai scritto tu e io ci ho pensato tanto...
per uscire dalla mia tristezza...
Ma è ormai un anno che tu non sei più fra le mie braccia...
Oggi voglio dirti quello che ho nel cuore
anche se questa lettera rischia di essere consegnata a mio marito
che mi sorveglia, mi tiene prigioniera, mi ricatta
di non farmi più vedere i miei bambini...
Ho pagato bene un servo perché ti faccia avere la mia lettera.
Ma anche se venissi scoperta, che cosa potrò soffrire
più di quanto già non soffra nella mia condizione di reclusa,
di sepolta viva per punirmi dell’amore che provo per te
anche se non sarà mai possibile, lo so...
per noi vivere insieme...

CAVOUR la contempla estatico; nel suo stato febbricitante la vede davanti a sé.
Così le parla come se fosse tornato indietro di alcuni decenni.

CAVOUR -
Rassegnamoci per qualche tempo ancora
mia adorata, aspettiamo l’avvenire con fiducia.
Adempiamo con coraggio i doveri che ci sono imposti,
tu seguendo i tuoi figli, io rendendomi il meno inutile possibile...
Noi troveremo consolazione nella nostra coscienza
e la provvidenza non ci abbandonerà.

NINA scuote la testa con disperazione: non sono queste le parole
che si aspetta da CAVOUR.

NINA -
No! Non queste parole buone aspettavo da te,
ma la passione che ci ha unito!
Nous sommes des pensées de Dieu...siamo dei pensieri di Dio,
siamo le sue intenzioni...le sue concezioni... Liberi
e assoggettati a delle leggi invincibili!...
Libera? Io sono libera?
La volontà esiste, ma la sento regnare da sovrana
quando si tratta di ciò che conosco, e là niente può abbatterla,
niente, niente! Cancellare il passato è annientare il presente
nell’avvenire, è distruggere l’avvenire prima ancora
che si sia profilato, e tutto si incatena...
Quando Dio mi ha creato era in collera.
Far tanto soffrire un’anima in un corpo di donna!
Ah! che Lui la distrugga questa prigione malvagia!
Je n’aime pas ma condition de femme,
Pourquoi n’ai-je pas été consulté?
Naître comme ça sans savoir ce que c’est!
C’est vexant, il faut l’avouer!...

NINA si muove in preda a una forte agitazione.
CAVOUR la segue con lo sguardo.

CAVOUR - a se stesso
Io non ho capito fino a in fondo la sua natura...
E quanto mi amasse.... con quale generosità...
sacrificando se stessa.... fino alla follia...

NINA torna accanto a CAVOUR.

NINA -
Camille adieu. Je suis dans l’inébranlable résolution
de ne te revoir jamais. Tu liras ces lignes
lorsque une barrière insurmontable
s’élèvera entre nous... lorsque j’aurai eu la grande initiation
aux secrets de la tombe... lorsque, peut-être -
je frémis en y songeant - je t’aurai oublié....
io ti avrò dimenticato!....

Gli getta accanto la lettera che teneva fra le mani e scompare nell’ombra.
CAVOUR scatta in piedi in preda a brividi.

SCENA XVII

Entra BIANCA.
Si avvicina a CAVOUR che regge fra le mani il foglio di NINA.

BIANCA -
Una lettera?...

CAVOUR si rende conto di avere la lettera sognata fra le mani.

CAVOUR -
Ah! Vecchie carte... Il passato mi ritorna a ondate...

BIANCA -
E’ la febbre. Speravo che il chinino ti giovasse.

Rimane incerta, lo guarda, vorrebbe dire qualche cosa.

CAVOUR -
Che cosa c’è?

BIANCA -
E’ venuto di nuovo Frate Giacomo. Non so se vuoi riceverlo...
Sembra che abbia qualcosa di importante da dirti.
Da come mi ha chiesto che tu lo riceva...

CAVOUR -
Come prete, te lo ha chiesto?

BIANCA -
Come un uomo che vuol capire qualche cosa che gli sta a cuore.

CAVOUR -
Allora fallo entrare.

BIANCA esce. CAVOUR guarda le lettera che gli è rimasta fra le mani:
forse prima l’aveva in tasca, oppure gli è arrivata misteriosamente da Nina?
Ci pensa un attimo, poi scuote la testa e la ripone in tasca.

Entra FRA’ GIACOMO. Sotto l’abito dell’Ordine si intravvedono
una camicia e un pantalone.
CAVOUR gli fa cenno di sedere.
FRA’ GIACOMO avvicina uno sgabello a CAVOUR e siede.

CAVOUR - con gentilezza
Che cosa vuole, padre Giacomo?

FRA’ GIACOMO -
Sapere. Conoscere. Capire.

CAVOUR - ironico ma gioviale
Ah! lei dice questo a me! Lei, padre,
che dovrebbe aiutare noi, all’oscuro dalla Grazia.

FRA’ GIACOMO -
Io... ho seguito da anni le sue azioni politiche,
e ho letto i suoi discorsi. Qualche volta
sono andato in Parlamento, per ascoltarla.

CAVOUR -
Il contenuto dei miei discorsi è stato spesso all’opposto
di quello che il Papa avrebbe voluto.
Non ha avuto paura di essere scomunicato?

FRA’ GIACOMO -
Sì, ho avuto questo timore. Ma nella coscienza l’uomo è libero.
E in Parlamento sono andato in abiti borghesi.

CAVOUR -
Ah! E’ stato cauto, conoscendo il suo ambiente.
E adesso, qui può venire senza destar sospetti,
con la scusa dei sacramenti... che mi saranno concessi
previo pentimento e cancellazione della scomunica.

FRA’ GIACOMO-
Non è questo il motivo che mi ha spinto qui.
Io vorrei capire perché una persona che ha lottato tutta la vita
per mettere insieme una nazione,
ha trovato tanti ostacoli da parte di colui
che avrebbe più di tutti dovuto capire
l’importanza “morale” del suo disegno...
ed essere per tutti un padre, e non un sovrano per alcuni.

CAVOUR -
Peccato, padre, che lei sia un sacerdote. Sarebbe stato prezioso
in qualche mio governo. Non tutti i ministri
ragionano con tanta logica quanta ne ha espressa lei
in pochissime parole. La questione romana
è una storia di secoli... dove la sostanza spirituale
ha davvero poca importanza:
prevalgono gli interessi, il potere,
le ambizioni.... cose umane, del resto.

FRA’ GIACOMO -
Quando mi sono fatto prete, mi ero illuso.
Che attraverso la consacrazione si vedesse
più limpido anche nelle cose umane, che il Papa
rappresentasse una guida sicura
per il popolo di Dio... Ma poi mi sono accorto
che dov’è il potere lì c’è corruzione, e che è proprio
il potere a corrompere anche le cose spirituali.

CAVOUR -
Quindi meglio tenerle separate,
queste due parti della vita umana:
da solo, povero frate, sei arrivato a pensare così!...

FRA’ GIACOMO -
E’ stata l’esperienza della vita. In convento...
monaci corrotti... frequentatori di bordelli...

CAVOUR -
Eh! Si votò per chiudere i conventi peggiori...
Poi la destra si oppose, e tutto rimase come prima.

FRA’ GIACOMO -
Nelle chiese, ho trovato preti ladri di eredità
estorte con la minaccia dell’Inferno...
parroci che avevano fatto della chiesa
la loro fonte di sistemazioni familiari...
E poi, nelle regioni sottomesse al Papa,
la gente è oppressa dalle tasse,
peggio che in altri stati governati da principi...

CAVOUR -
C’è ancora molto lavoro da fare.
Ma intanto qualche cosa si è fatto. Ed è stata proprio
una nazione da sempre alleata del Papa,
ad aiutarci a raggiungere lo scopo.

FRA’ GIACOMO -
L’Austria non è possibile... Forse, la Francia?

CAVOUR -
Non molto tempo fa, a Parigi è stato pubblicato
un volumetto, “Le Pape et le Congrès”,
scritto per ordine dell’Imperatore.

FRA’ GIACOMO -
L’Imperatore ha sempre protetto il Papa.

CAVOUR -
Sì, ma adesso gli conviene che l’Italia sia più forte
rispetto all’Austria che è rimasta al fianco del Papa.

FRA’ GIACOMO -
Il Papa quindi perderà il suo Stato?

CAVOUR -
Secondo questo progetto
il Papa potrà avere una piccola estensione di territorio:
non gliene serve tanta per l’esercizio
della sua autorità spirituale. E questo piccolo Stato
sarebbe meglio garantito dalle potenze cattoliche...

FRA’ GIACOMO -
Ah! Le annessioni sono state una cosa grandiosa!

CAVOUR -
Per la prima volta, in Italia, hanno votato tutti i cittadini.
Anche i poveri, e i contadini analfabeti...

FRA’ GIACOMO -
Al mio paese mio padre andò a votare con tutti gli altri contadini,
in fila dietro la bandiera tricolore, e davanti li guidava il feudatario...

CAVOUR -
Così anche suo padre è stato scomunicato.

FRA’ GIACOMO -
Mio padre?!

CAVOUR - sorride tranquillizzandolo
Bè, in un certo senso...
Pio Nono ha emanato una bolla di scomunica
verso chi aveva consigliato o soltanto accettato
che si tenesse un plebiscito nei territori che gli eran stati strappati.
Furono in pochi a votare “no”!, giusto il clero...
La scomunica non ha fatto paura...
E comunque suo padre ha soltanto eseguito
quanto gli avrà comandato il padrone.

FRA’ GIACOMO -
Lei aveva consigliato il plebiscito?

CAVOUR -
Consigliato?! Ho spinto per questa soluzione! Avevo bisogno
che nel nuovo Parlamento ci fossero i deputati
delle nuove regioni annesse all’Italia, in modo che poi le elezioni
avessero rappresentanti di ogni parte.

FRA’ GIACOMO -
Perché poi ci furono anche le elezioni...

CAVOUR -
Le elezioni sono un fatto politico.
Vota soltanto chi paga le tasse,
e sa leggere e scrivere... un’enorme ingiustizia...
solo poco più dell’un per cento dell’intera popolazione...
Ma è già qualcosa rispetto al niente di prima.

FRA’ GIACOMO -
Adesso l’Italia ha un Parlamento, e lei
è il Primo Ministro. Ma Roma... è lontana.

CAVOUR -
Non sarò io a raggiungerla.
Ma ti dirò perché ci arriveranno altri,
e con facilità rispetto alla nostra fatica
nel mettere insieme il resto dell’Italia.

FRA’ GIACOMO -
Quali saranno gli argomenti che convinceranno il Papa?

CAVOUR -
Il Papa non si convincerà. Almeno...io credo,
per più di mezzo secolo. Ma si convinceranno gli Italiani.

CAVOUR, per la febbre parla ispirato, come se rifacesse
uno dei suoi discorsi parlamentari.

“Noi dobbiamo andare a Roma senza che la riunione
di questa città al resto dell’Italia possa essere interpretata
dalla gran massa dei cattolici e fuori d’Italia
come il segnale della servitù della Chiesa,
senza che l’autorità civile estenda il suo potere
all’ordine spirituale”.

FRA’ GIACOMO -
Bisognerà spiegare al Papa questo concetto
che mi pare vincente. Anche per lui.
per la sua sicurezza, per la sua indipendenza.

CAVOUR -
E infatti, dovremo andare dal Papa. Dirgli:
“Santo Padre, il potere temporale per voi
non è più garanzia di indipendenza, rinunziate,
e noi vi daremo quella libertà che invano
da tre secoli avete chiesto a tutte le grandi potenze cattoliche!”

FRA’ GIACOMO - canterellando soddisfatto
“Libera Chiesa in libero Stato”!

CAVOUR -
Sì, “questa libertà noi veniamo ad offrirvela in tutta la sua pienezza,
noi siamo pronti a proclamare nell’Italia questo gran principio...”.

Tutti e due forte, con allegria.

CAVOUR e FRA’ GIACOMO -
“Libera Chiesa in libero Stato!”

FRA’ GIACOMO -
Che bellezza!

Si muove per la stanza fregandosi le mani con soddisfazione e ripetendo
“Libera Chiesa in libero Stato!”, mentre CAVOUR chiama BIANCA a voce alta.

CAVOUR -
Bianca! Porta una bottiglia di Champagne!

Entra BIANCA con un vassoio, tre calici e una bottiglia di Champagne

BIANCA -
Avrete sete. Dopo una chiacchierata così lunga!...

CAVOUR -
Vogliamo festeggiare!
Brindiamo al nostro progetto futuro!

Versa lo Champagne nei calici.
Tutti brindano.

TUTTI -
Evviva! Evviva!

FRA’ GIACOMO si assesta la tonaca.

FRA’ GIACOMO -
Devo andare. Mi aspettano per la messa
alla Madonna degli Angeli.

Si avvia per uscire.

E... per quella cosa.... che lei ha avuto dal Papa...
non ci pensi.... Ciò che conta è la coscienza.

Fa per uscire.

BIANCA - sottovoce a CAVOUR
Che cosa ha voluto dire?

CAVOUR -
Non ci badare. Cose di preti...

BIANCA si avvia per accompagnare FRA’ GIACOMO. Escono entrambi.

SCENA XVIII

CAVOUR è solo. Si piega sulla chaise-longue in preda a brividi.
Brevi frasi appena mormorate, fra sé.

CAVOUR - sussurrando, fra sé, con difficoltà.
Mi mancano le forze... E’ la febbre...

Rimane pensieroso, con segni evidenti di sofferenza.

Entra furtivo un uomo avvolto in un mantello con il cappuccio
che gli cela in parte il volto: è VITTORIO EMANUELE in uniforme non da parata,
con la spada al fianco.

CAVOUR lo guarda con attenzione, trasalisce, fa per alzarsi in piedi.

CAVOUR - Maestà!

VITTORIO EMANUELE glielo impedisce con un gesto e siede sullo sgabello.

VITTORIO EMANUELE -
Caru cunt...

Gli secca di mostrarsi sollecito nei confronti del suo alleato-nemico di sempre,
ma è venuto per vedere come sta, e gli dispiace che stia male.
Quando la morte è vicina, non è più il caso di scontrarsi con ripicchi e impuntature.
Gratta il terreno con la spada come se fosse un bastone da passeggio.
Il suo tono oscilla fra l’indifferenza e la cordialità.

Sono venuto a vedere come sta.
Meglio in incognito, senza presenze ingombranti e pettegole...

CAVOUR -
I nostri incontri sono avvenuti sempre un po’ in incognito.
Pubblicamente sembrava una cosa, poi...

Sorride ironico, ammiccando.

...veniva fuori tutt’altro.

VITTORIO EMANUELE -
Strategie... E delle volte non ci siamo capiti.

CAVOUR -
Poche volte... poche, alla fine.

VITTORIO EMANUELE -
Era una questione così ingarbugliata...l’Italia...
o quello che volevamo diventasse...

CAVOUR -
L’Italia io la vedevo con gli occhi di un viaggiatore
in giro per l’Europa... nei paesi dove si è fatto degli amici.
Che cosa pensa delle nostre faccende l’Inghilterra?...
Che ne dice la Francia?... E l’Austria,
riusciremo a mandéla a cà?... Poi
mi mettevo dalla nostra parte, pensavo a come agire...
e ne parlavo con il Re.

VITTORIO EMANUELE - d’impeto, tanto che sbotta in torinese
Eh! ma a jeru ‘d co’ j’auti,
a bastava nèn ese d’acordi mì e chiel!...

CAVOUR - seguendolo nel dialetto, per istintiva simpatia
A jeru ‘ndrenta e a jeru fora! Quante volte ho dato le dimissioni
da Primo Ministro perché a lei non andava bene la mia politica?
E fora, peui!... Parlumne nèn!

VITTORIO EMANUELE -
Fora!... Vogliamo parlare anche solo degli alleati?
Perché se ci mettiamo a parlare del Papa,
dei Borboni e via dicendo...

CAVOUR -
Vogliamo parlare degli amici!?
E allora parliamo di Mazzini e di Garibaldi!

VITTORIO EMANUELE -
No no! Non parliamone più. In fondo, Mazzini aveva addirittura
rinunciato al suo disegno repubblicano...

CAVOUR -
Certo! Il suo disegno era una pura e semplice utopia!
E alla fine aveva visto nel Re
una possibilità di unificazione delle forze in campo.

VITTORIO EMANUELE -
Mi scrisse che amava più la patria che il suo partito,
così lui mi affidava il compito di continuare
in quel disegno che era anche il suo.

CAVOUR -
Per poco tempo, poi riprese i suoi piani.
Un uomo di valore, Mazzini, ma un teorico.
Il popolo!:l’unico a cui affidare il governo...
Una associazione, La Giovine Italia...per organizzare la rivoluzione...
Ha sempre mancato di senso pratico.

VITTORIO EMANUELE -
Mentre ne ha anche troppo Garibaldi.

CAVOUR -
Ah! Quanto mi odia quell’uomo!
Eppure io l’ho stimato forse più di lei...

VITTORIO EMANUELE -
Se allude a quando ci siamo incontrati a Teano,
dopo i plebisciti del Sud, io l’ho trattato molto bene!
Ci siamo stretti la mano, a cavallo uno di fronte all’altro!

CAVOUR -
Ma poi lei non ha neanche passato in rassegna
i reparti garibaldini che le avevano regalato mezza Italia!
E Garibaldi si è offeso mortalmente.

VITTORIO EMANUELE -
Chiel a lè desmenciàse ‘d quandi c’a lè rivà a la Camera!
E vi ha insultato tutti quanti, ministri e deputati!

CAVOUR -
Non l’ho dimenticato! Ma quella volta Garibaldi aveva ragione!
Il nostro esercito aveva disarmato i suoi volontari
ricorrendo a misure di violenza! Con quelle armi i garibaldini
avevano sconfitto i soldati borbonici e liberato
il Mezzogiorno dell’Italia!

VITTORIO EMANUELE -
Quella volta alla Camera io non c’ero.
Ma me l’hanno raccontata, l’entrata di Garibaldi
in camicia rossa... E poi quel discorso...

CAVOUR -
...quando parlò di “una guerra fratricida
provocata da questo stesso ministero”...
Io soffrivo ad ascoltarlo. Nella sostanza aveva ragione.
Ma non ero stato io a volere quegli eccidi.

VITTORIO EMANUELE -
Lei si difese bene, caru cunt... Giorni dopo vi siete incontrati,
a tu per tu: “Garibaldi, dopo le pazienti spiegazioni
del Primo Ministro, conte di Cavour,
ha accettato il programma di governo...”.

CAVOUR -
... e ha assicurato di aver fiducia in me.
A un mio richiamo era pronto a tornare sui campi di battaglia
“per il bene della patria”: Garibaldi
disse proprio così,
nonostante l’antipatia per me.

VITTORIO EMANUELE -
Siete l’uno l’opposto dell’altro.
Cavour è diplomazia... astuzia... negoziati...
Garibaldi furore... coraggio... generosità!
Sì, sono sicuro che tornerebbe a combattere.

CAVOUR -
Se ce ne sarà bisogno, lo farà di certo.
Non più con me.

VITTORIO EMANUELE -
Perché nèn pì cun chiel?

CAVOUR -
Perché tocca a lei, da adesso in poi, Maestà.
Con qualcuno di quei ministri
che non aspettano che la mia morte.

VITTORIO EMANUELE -
Preferisco litigare con lei, che avere qualcun altro
a governare l’Italia. Quante volte se ne è andato,
e io le ho chiesto di tornare?

CAVOUR -
Tante. Troppe. Ma, grazie per la stima.

E’ preso da brividi di febbre.

VITTORIO EMANUELE -
E’ inevitabile, tra noi: ci si scontra subito.

Si alza risoluto.

Stasera al Regio danno il Nabucco.
Mi dispiace che lei non possa venire...

CAVOUR -
Maestà, la sua visita è stata più importante
di qualunque altra cosa potevo desiderare.

VITTORIO EMANUELE
Forse è la prima volta che abbiamo parlato
senza la fretta delle decisioni immediate.

CAVOUR alza a fatica inchinandosi al RE.
Il RE si inchina a CAVOUR.
Rimangono un attimo a guardarsi, poi si stringono la mano.

VITTORIO EMANUELE -
Arvëdse.

CAVOUR -
Addio.

VITTORIO EMANUELE si rimette il cappuccio sul volto ed esce.

Nella penombra della sera CAVOUR si assopisce.

Dapprima appena udibile, poi via via con sempre più forte intensità, echeggia il
CORO del NABUCCO “Va pensiero sull’ali dorate”
e, sovrapposte, grida gioiose dal pubblico.

VOCI dal PUBBLICO -
Viva Verdi ! Viva Verdi!
Viva Verdi!

APPLAUSI che si mescolano alle grida e al Coro.

I suoni si attenuano fino al silenzio.

BUIO.
LUCE INTENSA. LA SCENA E’ VUOTA.

Ad uno ad una entrano gli Attori. Ciascuno dirà una frase del testo finale

ATTORI

Camillo Cavour morì pochi giorni dopo, usurato dalle fatiche di governo. Era il sei giugno del milleottocentossessantuno.
Roma divenne capitale d’Italia dopo che l’esercito italiano entrò nella città attraverso la breccia di Porta Pia. Era il venti settembre del milleottocentosettanta.
Il Papa Pio Nono scomunicò i fautori della presa di Roma, prima di tutti il Re.
Vittorio Emanuele si ammalò di polmonite andando a caccia nella sua tenuta laziale.
Morì il cinque gennaio del milleottocentosettantotto munito dei conforti religiosi: il Papa, mettendo da parte i veti pontifici, cancellò per lui la scomunica.
Frate Giacomo da Poirino diede l’assoluzione in punto di morte a Cavour scomunicato: subito dopo venne sospeso e scomunicato dal Papa, morendo in miseria e povertà.
Oggi, Papa Benedetto sedicesimo ha deciso di festeggiare il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia.
Quanto alla “questione meridionale”, essa è ancora lontana dall’essere risolta.

( qui se c'è ancora spazio, la foto APPLAUSI)

Le foto dello spettacolo sono di Cesare Ferzi

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