Corriere della sera, 6 dicembre 1976

“Bel ritratto di donna”
Natalia Ginzburg

(…) “Marisa della Magliana”, che a me è sembrato grandemente notevole. Opera di Maricla Boggio, “Marisa della Magliana” è un chiaro e bellissimo ritratto di donna. MariclaBoggio ha avuto il merito di lasciar parlare una donna tenendosi in disparte, e seguendola ora per ora in una giornata della sua vita, senza ingombrare lo schermo né con dibattiti né con commenti superflui. Il ritratto ha così un pieno spazio, e ci è consentito di apprendere sulla condizione femminile alcune notizie chiare e reali.
Marisa della Magliana vive facendo servizi a ore. Grassa, dolce, lieta, essa è dotata di una grande facoltà di comunicare con gli altri, avendo una natura generosa, coraggiosa e solare, e senza acrimonie nei confronti delle avversità. Questa la rende diversa da tutti. Le sue giornate e la sua vita, e le disgrazie che le sono toccate, sono però simili a quelle di infinite altre donne.
Essa è nata in un piccolo paese del Lazio, un pugno di casette storte su una rupe. Erano cinque figli e il padre se ne andò via. Toccò a lei, ragazzetta, allevare una sorellina piccola, andando a chiedere di casa in casa, ogni giorno, qualche pezzetto di pane per cucinare un pancotto. Poi la famiglia si trasferì a Roma, in un’azienda agricola. Al paese la casa era “di muro”; a Roma, ebbero una baracca.
Sui diciassette anni, Marisa si sposò. Più vecchio di lei, il marito le parve un padre. Ebbero un bambino. Poi il marito se ne andò con un’altra. Conobbe un uomo, questa volta giovane: non un padre, ma un allegro compagno o un figlio. Ma quando s’accorse di essere incinta, erano già disuniti. Non volle abortire. Con altre donne e con l‘aiuto di un prete, don Gerardo Lutte, mosse battaglia per ottenere un alloggio. Ebbe così l’alloggio dove ora vive con i due figli. Si porta dietro il più piccolo, quando va a lavorare.
Le accade a volte di ospitare qualche ragazza incinta, che i familiari respinsero. Tempo fa venne a trovarla il padre del bambino più piccolo; le disse che aveva deciso di dare un nome al bambino. Essa gli rispose che il bambino aveva bisogno di un padere, non di un nome. Il nome, il bambino l’aveva, ed era quello di lei. Un padre, era chiaro che il bambino, da quella figura sfuggente, balorda e sconsiderata, non se lo poteva aspettare.



RADIOCORRIERE TV, 4 dicembre 1976

“Ed ecco il primo telefilm femminista”

Franco Scaglia

“La protagonista reale della vicenda, dice la regista, “ è un po’ la vera rappresentante della donna nuova, alle prese con un mondo ancora ostile, ma desiderosa di costruire con l’uomo un mondo diverso, senza rivendicazioni settarie”.

Marisa, una donna di borgata. Vive alla Magliana. Questo quartiere di Roma è tristemente conosciuto per gli scandali della speculazione edilizia e per le condizioni malsane del terreno invaso dalle zanzare e dalle marrane, dato che il livello della zona è sotto quello del Tevere. Alla Magliana le fogne straripano e ci sono molti topi, le scuole scarseggiano, mancano i dopo scuola tranne quelli organizzati autonomamente dalla popolazione nei locali nei centri di Cultura Proletaria. Alla Magliana le soluzioni sono due: o si fugge cercando una qualsiasi occupazione in città, o si cerca di modificare con la lotta la propria condizione di prigioniero del ghetto. Marisa ha scelto la seconda soluzione. L’ha scelta con una presa di coscienza lenta e graduale, l’ha scelta pagando duramente di persona, soffrendo pene e fame, sapendo che la lotta è lunga, difficile, ardua.
Marisa Canavesi è nata a Rocca Santo Stefano, un paesino a sessanta chilometri da Roma.
“Quando avevo nove anni, mia madre ha dovuto lasciarci, eravamo già in sei, io ero la più grande e m’aveva lasciato una bambina di sei mesi, la più piccola. Il mangiare noi non ce l’avevamo perché era subito dopo la guerra. Mangiavamo patate lesse, granoturco lesso, pizza di granoturco, quella gialla, e la bambina non aveva minestrine”.
E dopo, Marisa?
“A undici anni mia madre mi ha portato a lavorare con lei, siamo venute a Roma dal pese, siamo andate in una azienda agraria. Là ci hanno dato una casetta, eravamo in mezzo a una pineta: una baracca tutta di legno, era una stalla una volta. C’erano delle mangiatoie costruite di cemento, proprio come sono le bare, noi mettevamo la paglia dentro, poi un panno sopra. Mi davano cinquecento lire la settimana, ma a mia madre facevano comodo. Avrei dovuto studiare, ma non era possibile. Quando sono stata grande mi sono fidanzata e mi sono sposata ma è andata male perché oggi riconosco di aver cercato un uomo più grande di me, come lui era, anche per sostituire il padre che m’è sempre mancato. Dopo cinque anni abbiamo deciso di comune accordo di lasciarci. Poi c’è stata l’occasione per avere la casa. Un giorno mi vedo arrivare un ragazzo che mi bussa alla porta e mi presenta un volantino. Era il primo volantino che vedevo nella mia vita, c’era scritto che se eravamo tutti uniti, se lottavamo insieme avremmo ottenuto la casa. Lottare non significa lottare con violenza. Lottare significa rivendicare i propri diritti. Se stavamo insieme ed eravamo in tanti forse riuscivamo a farci ascoltare. Vede, per me prima lo Stato era lo Stato, la polizia era la polizia, erano l’imperatore in persona, guai a chi li toccava. Con la mia ignoranza non capivo che sono toccabili eccome, toccabili non nel senso di sfottere, ma proprio per dirgli in faccia le cose come stanno, anche se non c’è bisogno di dirle, perché la realtà è talmente evidente! E incomincio a frequentare queste riunioni e lì c’è questo prete, Gerardo Lutte, che è venuto a vivre in povertà assieme a tutti questi baraccati. Vede, perché un conto è andare a promettere, in fondo tutti promettono sempre le stesse cose, ma questo prete ha dimostrato che lui da quel momento lottava anche per noi”.
Lei ha due figli, Marisa. Enrico che fa l’apprendista in un bar e Alessandro che ha quattro anni.
“La nascita di Alessandro, il padre è l’altro uomo con il quale sono vissuta, vissuta, insomma, quando stavo a Pratorotondo, perché alla Magliana non è mai venuto, ha arricchito la mia vita”.
La storia di Marisa, Maricla Boggio l’ha già raccontata nel libro Ragazza madre edito da Marsilio e prima l’aveva rappresentata in teatro nello spettacolo Mara maria Marianna che inaugurò il Teatro femminista della Maddalena. Ora questa storia esemplare è diventata un telefilm, il primo telefilm femminista. Un lavoro scarno e lucido, che dovrebbe permettere allo spettatore tutte le possibili valutazioni sulla realtà che Maricla Boggio mostra in piena libertà senza condizionamenti da mass-media di vecchio stampo. La giornata di Marisa è raccontata nelle rigide e faticose suddivisioni del lavoro occasionale trovato in varie parti della città. E questi brani di vita autentica sono contrappuntati con la vita alla Magliana, con le lotte che Marisa e altri portano avanti.
“Marisa della Magliana”, dice Maricla Boggio, “non è una donna celebre, non è un’eroina, non è neppure una donna qualunque: è una ragazza madre di un quartiere proletario di Roma che ha affrontato con coraggio e capacità di maturazione le difficoltà della vita, riuscendo proprio attraverso queste difficoltà a capire il valore degli affetti al di là del concetto tradizionale e spesso abusato della famiglia condificata, arrivando non solo a capire ma a realizzare praticamente e affettivamente una comunità di tipo nuovo. Tutto quello che Marisa fa e dice passa attraverso un’esperienza e una riflessione vissute e pagate direttamente; è proprio questo modo diretto di mettersi a contatto e di verificare su di sé i problemi e le difficoltà e di agire di conseguenza a dare di Marisa una dimensione mai retorica, lacrimevole o protestataria che sia: si direbbe che la miseria, le umiliazioni, le prove più dure da lei sopportate come persona povera e come donna proletaria e addirittura sottoproletaria l’abbiano arricchita di un’intelligenza produttiva. Marisa, priva fin da bambina di ogni bene essenziale, invece di indurirsi nell’animo per questa latente ingiustizia, se ne arricchisce per per offrire agli altri, nei limiti delle sue possibilità, quanto a lei è mancato. Dalla povertà della sua infanzia in campagna al matrimonio sbagliato della giovinezza, quando era “alla ricerca di un padre”, all’esperienza di un nuovo amore, abbinato alla graduale presa di coscienza politica acquisita con la lotta per la casa, fino all’attesa del figlio concepito fuori del matrimonio, e accettato come presa di responsabilità, senza tuttavia giudicare chi decide diversamente, Marisa testimonia in ogni sua azione una maturità morale ed una ricchezza di umanità che ce la fanno sentire un po’ la vera rappresentante della donna nuova, della donna di oggi, alle prese con un mondo ancora ostile, in condizioni sempre inferiori a quelle dell’uomo, ma tuttaiva desiderosa di costruire con lui un mondo diverso, senza rivendicazioni settarie e stravolgenti.




Paese Sera, 4 dicembre 1976

Il video al femminile
Elisabetta Rasy

Storia di una donna tre volte discriminata – “Mara Maria Marianna” in teatro, diventa “Marisa della Magliana”

Marisa è proletaria, donna, ragazza madre. Per giunta vive alla Magliana, in palazzi che lei definisce “baracche verticali”, poco diverse da quelle “orizzontali” di Pratorotondo dove viveva prima. La sua storia ha di diverso da quelle di tante altre donne il fatto che lei è in grado di raccontarla. L’ha raccontata prima in un lavoro teatrale, “Mara Maria Marianna” presentato al teatro femminista della Maddalena, e ora in un programma televisivo, firmato da Maricla Boggio, che sarà trasmesso domenica sera, rete due, primo esempio di un nuovo modo di affrontare in televisione la questione femminile, dal basso invece che dall’alto, elaborato dalle donne con le donne invece che a tavolino.
Dunque Marisa. (…) Dietro la piccola

spettacolarità del racconto di Marisa c’è una condizione femminile agghiacciante e l’immagine di una città in cui chi non s’arrangia è perduto. Per andare al lavoro nell’ufficio dove fa le pulizie dalle sei alle otto di mattina è costretta a portarsi il figlio piccolo dietro. Nel quartiere la scuola non c’è. Passa ora della sua giornata sugli autobus, in giro tra le case in cui va a servizio. Il bambino che tira su con tanta fatica nei momenti in cui non segue la madre al lavoro ha solo la strada per giocare. Vecchie storie, cose che sappiamo tutti, una città fatta di vuoti, di mancanze che continuano ad allargarsi.
L’elogio della sopravvivenze e dell’eroismo quotidiano che il filmato televisivo finisce, forse involontariamente, per fare, alla fine inquieta. Chi non è eroico come se la cava? Ma il film ha un pregio che vale la pena di sottolineare: nella storia di Marisa la dimensione sociale e politica si inscrive nella sua vicenda personale naturalmente, come nella vita di ogni donna. Fare un figlio senza essere sposate mette in gioco la possibilità di mantenerlo, ma anche le diffidenze e i pregiudizi che si devono incontrare. Nello stesso modo il lavoro politico, nel suo caso la lotta per la casa, rende meno fragili nella vita personale, nel rapporto con l’uomo che le donne, quanto più sono povere ed emarginate vivono in condizioni di soffocante dipendenza. Il raro buonumore di Marisa dimostra, se non altro, che non tutto quello che le donne sono abituate a ritenere indispensabile lo è davvero.

 

Il Corriere Adriatico di Ancona , 2 dicembre 1976

Silvana Gaudio

(…)E’ un programma senza dubbio di rottura che, in maniera non conformista, stabilisce un dialogo con le donne, femministe e no, le quali abbiano acquisito coscienza di sé o aspirino a farlo.



La Gazzetta del popolo , 7 dicembre 1976

“E una donna vera arrivò alla TV”
Giuliana Dal Pozzo

La giornata di Marisa: è andato in onda il primo telefilm femminista
La televisione ci ha dato domenica sera il volto e la storia di una ragazza-madre. E’ la prima volta che il più grande strumento di diffusione del pensiero offre ai suoi utenti un personaggio come questo, un po’ scabroso, un po’ squallido ma vero, al posto delle infinite vallette, ballerine, esperte di cucina, astrologhe e così via. “Allora – dice Maricla Boggio, regista del film “Marisa della Magliana” – nessuno avrebbe accettato di portare sul video una storia come questa. Oggi è passata senza nessuna censura”.
L’”allora” cui si riferisce è il 1973. Infatti in quell’anno la storia di Marisa fu interpretata in teatro nello spettacolo “Mara Maria marianna” di Maricla Boggio, Edith Bruck e Dacia Maraini. Ma in qauesti tre anni il movimento delle donne è riuscito a penetrare fra le mura di via Teulada e la storia della ragazza-madre ha inaugurato i programmi sulla condizione femminile della Struttura 5 diretta da Marina Tartara. E’ un avvenimento importante al di là dei meriti del film. Non solo perché dopo tante donne confezionate secondo i modelli tradizionali che ci vengono continuamente riproposti sul piccolo schermo, finalmente si è vista una donna autentica, in cui forse si sono riconosciute altre donne che non si sono certo mai riviste nella luccicante Reaffaella Carrà o nelle signore consumiste dei “caroselli”, ma soprattutto perché a raccontarne la vita è stata la protagonista stessa, Marisa Canavesi, 39 anni, due figli, nata a Rocca Santo Stefano, a 60 chilometri da Roma, e abitante alla Magliana.
Sulla falsariga di una giornata di lavoro di Marisa, sono venuti fuori i problemi di ogni donna che lavora e per cui la città concepita a-modello-di-uomo o al massimo di uomo e di donna-casalinga è fatalmente nemica. Orari impossibili, lunghi percorsi da fare su autobus lenti e sovraffollati con il bambino al collo che nell’attuale carenza di asili non si sa a chi lasciare, il compito aggiuntivo della spesa, del bucato. Nella vita di Marisa che pure sembra così priva di avvenimenti ed emozioni, a ben guardare c’è davvero tutto, ma quel tutto che esiste nella vita quotidiana, un incontro fortuito sotto la pioggia che sfocia in un matrimonio fra poveri, la nascita del primo figlio, la vedovanza, l’uomo malaticcio e nevrotico che la rende madre una mattina quasi per distrazione, mentre il figlio grande è a scuola; la maternità accettata ( a questo punto viene in mente Iduzza, protagonista de “La Storia” di Elsa Morante), la malattia del piccolo, il ricorso alla Madonna del Divino Amore e il pellegrinaggio a piedi quale “ex voto”, l’aiuto del Comitato di quartiere, del Centro di Cultura Proletaria capeggiato da Gerardo Lutte, prete e docente universitario, delle femministe che vogliono un consultorio e gridano: “Sempre coi ragazzini appresso ci tocca fare le cose!”.
Marisa è piena di generosità, di comprensione per gli altri (fino al punto di aiutare un’altra ragazza-madre), di voglia di lavorare per il suo bambino anche se, semi-analfabeta com’è, non trova di meglio da fare che le pulizie negli uffici all’alba e qualche ora di servizio nelle case. E’ vitale e allegra e ride pensando quanto è stato stupido il padre del suo bambino quando credeva fosse apprezzabile la sua proposta di dare un nome al figlio. E’ dignitosa: “ Il mio nome vale quanto il suo, semmai Alessandro ha bisogno di un padre”.
E’ tollerante: “Io ho voluto il mio bambino, ma non giudico male chi vuole abortire, perché un bambino deve essere desiderato”. C’è da chiedersi di fronte a questa realtà tanto semplice, quanti avranno pensato che sia addirittura banale e scontata. Una ragazza madre non è forse oggi accolta da tutti, il senso del peccato e dell’irregolarità non sono da lasciare ai romanzi di Carolina Invernizzi? (…) Ecco perché la storia di Marisa deve essere accettata come un fatto nuovo e interessante.




LA STAMPA , 3 dicembre 1976

Coraggio, lotte e speranze di una donna di borgata
Liliana Madeo

“Marisa della Magliana” arriva sui teleschermi. E’ la vicenda di una popolana che Maricla Boggio – regista, drammaturga, giornalista – ha 2scoperto§”!: prima le ha dedicato un capitolo del suo libro “Ragazza madre”, poi ne ha tratto una riduzione teatrale, adesso la porta in tv in una lunga intervista “confessione-testimonianza di cinema verità”. (…)
Alla presentazione del filmato, in viale Mazzini, Marisa sedeva fra gli invitati. Il viso pieno e luminoso, la risata pronta, il copro robusto proteso verso il piccolo schermo, è stata una spettatrice straordinariamente attenta e seria. Per circa un’ora la saletta delle proiezioni è stata inondata dalla sua presenza, dalla franchezza del suo racconto. (…)
Il viaggio è inconsueto, per i teleschermi, e affascinante.




NOI DONNE, 12 dicembre 1976

Una ragazza madre è arrivata sul video
Rita Tripodi

La regista Maricla Boggio ha raccontato “dal vivo” la storia di “Marisa della Magliana”

(…) La regista e la troupe si sono introdotti prima nella casa di Marisa e ne hanno ripreso il risveglio; poi, fino a sera, l’hanno seguita al lavoro ( fa le pulizie in un ufficio e poi presso due famiglie); nelle pause, sollecitata dalla regista, Marisa ha ripercorso la sua storia di donna, la sua crescita politica.




IL MESSAGGERO, 4 dicembre 1976

La vera storia di una donna vera

Edith Bruck

Colei che vediamo sullo schermo è una donna vera in una storia vera, la storia della sua vita. (…)
Maricla Boggio, autrice e regista di teatro, ha dedicato un telefilm a questa figura di donna già descritta in un suo libro d’inchiesta sulle ragazze madri. E’ uno dei primi lavori realizzati per la “Struttura cinque” del secondo canale e fa parte di un ampio programma in cui Marina Tartara capo del settore, intende affrontare temi e personaggi finora emarginati.




AVANTI!, 7 dicembre 1976

Storia amara e umana d’una donna romana

Carlo Scaringi

(…) Questo “Marisa della Magliana” – un filmato di un’ora che ricostruisce l’intensa e dura giornata di una donna di un quartiere popolare di Roma – aveva il taglio di un film neorealista, d’una inchiesta giornalistica, di una confessione ( sia pure davanti alla cinepresa) spontanea e vera. (…)
La bellezza del film scaturisce anche dalla straordinaria naturalezza della protagonista, di questa Marisa che per nulla intimidita mette in piazza la sua triste vicenda non certo per farsi compatire, ma per denunciare le responsabilità della società.




LA STAMPA, 7 dicembre 1976

Cronaca TV

Ritratto di una donna

Ugo Buzzolan

La giornalista, scrittrice e regista Maricla Boggio ha portato sul video una figura di coraggiosa proletaria romana che aveva già descritto in un capitolo del suo libro “Ragazza madre”. Di questo singolare film-intervista-racconto la protagonista è lei, la popolana Marisa che risponde alle domande, narra e si muove con una naturalezza straordinaria e una grande carica di simpatia umana.




LETTERA AI COMPAGNI

Mensile della Federazione Italiana Associazione Partigiani

TV – Marisa della Magliana

Bruno Vasari

Marisa è sempre inquadrata sullo schermo con il suo bel sorriso e con la sua straordinaria spontaneità, con lampi negli occhi e gesti delle mani che sottolineano le parole semplici e precise. Il bambino sempre presente interrompe spesso, con grazia. Maricla fa parlare, lascia parlare e mai in alcun modo si sovrappone o cerca di sovrapporsi. (…)
La storia è una storia densa ed esemplare della condizione femminile, il personaggio straordinario nella sua autenticità, Marisa è un’attrice bravissima senza essere un’attrice.
Il film che rappresenta una svolta nella programmazione televisiva mi auguro abbia successo e serva a sfatare la leggenda che il pubblico preferisce l’evasione e le fiabe.


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