Dalla prefazione di Maria Magnani Noya

 

Esistono momenti nei quali un paese, una collettività, un popolo avvertono con sensibilità tutta particolare, maggiore che in altri, la necessità di affondare la propria capacità di ragionamento nelle pieghe più complicate della nostra storia.
Sono i momenti nei quali una società fa i conti con se stessa, scopre tensioni, problematiche sino allora sconosciute o verso le quali si riteneva sufficiente ostentare una sorta di fatalistico ottimismo.
Voglio dire cioè che esistono momenti nei quali una società, sotto il morso della consapevolezza di una crisi profonda, trova tutta la forza per tentare un’opera di rigenerazione dei valori e soprattutto un’opera di abbattimento di vecchi e logori tabù.
E’ la stagione della verità, nella quale la verità non fa più paura. In questo senso il libro di Maricla Boggio è attuale non solo perché illumina una realtà, quella delle “ragazze madri” verso la quale più volte nel nostro paese si è guardato con un atteggiamento ambiguo, a cavallo tra i paternalismo e la rassegnazione, quanto perché la sua pubblicazione si colloca in un momento tutto particolare della vita del paese, in una stagione che vede un grande impegno non solo sul fronte delle libertà civili, ma soprattutto una grande mobilitazione perché queste libertà non solo siano conquistate ma costituiscano il filo conduttore al quale ispirare i giudizi sui grandi problemi, sulle grandi “piaghe” dell’Italia degli anni ’70. Direi quindi che voler ridurre il libro della Boggio a una sorta di carrellata su un pezzo dell’Italia emarginata sarebbe profondamente ingiusto.
In Italia denunce, rassegne delle grandi questioni sociali non mancano; basti pensare all’attenzione che i grandi organi di informazione, i figli della borghesia dedicano ai temi della crescita civile del paese, dalla lotta per l’aborto a quella per una nuova famiglia e appunto a quella delle madri nubili, ma c’è in tutto questo lavoro un grande limite che è quello di affrontare queste questioni sulla base di una illusione, generosa quanto disperata: che cioè questi problemi possono essere risolti solo attraverso un impegno illuministico, una denuncia dei loro aspetti razionali, esasperati, drammatici o anche paradossali.
Ma non è così: queste sono problematiche che possono avere una risposta solo nella misura nella quale si colgono gli umori, i pensieri che dal di dentro scuotono i gruppi emraginati. E’ questo l’unico modo per affrontare a monte le ragioni dell’emarginazione e quindi per eliminarle.
Il libro di Maricla Boggio non è pertanto solo un affascinante e suggestivo reportage attraverso la sofferenza e la dignità di una minoranza, per di più emarginata. E’ qualcosa di più intenso: è la rappresentazione obbiettiva della domanda di cambiamento che viene da queste minoranze e soprattutto della loro volontà a essere protagoniste del cambiamento.
In Italia – è noto – esiste una vasta letteratura, e comunque è esistita, che ha appoggiato i propri pilastri sui sentimenti, sulla capacità di agitarli e di svegliarli. In Italia esiste una letteratura ricca, costellata da tante pagine suggestive sui drammi dei deboli, dello loro sofferenze, sul loro rifiuto della forza.
Da alcuni anni si va configurando una pubblicistica tutta diversa che non poggia più sulle sofferenze dei deboli, ma sulla volontà dell minoranze di bloccare i meccanismi della discriminazione permanente. Non sono più personaggi scossi dalla consapevolezza e quasi dalla accettazione supina della subordinazione, ma sono anche e soprattutto personaggi animati dalla dignità e della rabbia del cambiamento.
E’ questo del resto il vero salto di qualità registrato dallo scontro di classe del nostro paese. Le ragazze che Maricla Boggio ha intervistato non domandano – è questo il senso delle loro parole, dei loro giudizi – aggiustamenti marginali alla propria condizione, non chiedono cioè una emarginazione più rispettosa, una maggiore comprensione e tolleranza. Il discorso è tutto diverso: le donne di Maricla Boggio dicono no all’emarginazione e soprattutto chiedono un mutamento dei meccanismi, non solo produttivi ma anche culturali, di costume che hanno permesso e favorito l’emarginazione. Le madri nubili non vogliono essere guardate con maggiore attenzione, con maggior rispetto: reclamano un’altra scala di valori, uno sconvolgimento della gerarchia di quelli esistenti. In questo senso il libro di Maricla Boggio non è solo un’occasione per la società italiana di scoprire qualcosa che ormai è molto evidente e cioè che dietro la superficie, del resto sempre più incrinata, di un paese moderno a malapena si nascondono realtà che confermano quanto sia fragile il tipo di sviluppo perseguito in questi anni.
Ma non c’è solo questo; c’è soprattutto la testimonianza della maturità e della capacità di chi più ha pagato, non solo in termini di benessere ma anche in termini i di costume, il prezzo di questo sviluppo, a essere protagonista cosciente della costruzione di una nuova società.
In questo senso i temi e le questioni posti dal libro della Boggio travalicano i confini delle terze pagine dei grandi giornali borghesi e diventano squisitamente politici.
Infatti sullo sfondo dei personaggi di Maricla Boggio si profila un grande fantasma, lo Stato, la sua assenza e la mancanza di una qualsiasi politica dhe sia orientata nella direzione di annullare a monte le ragioni del dramma che le donne intervistate da Maricla Boggio propongono. Esce fuori da queste pagine ancora una volta l’immagine di uno Stato forte coi deboli e debole coi forti.
Con le “ragazze madri” lo Stato non è né forte né debole, è assente e quindi è uno dei grandi responsabili della loro emarginazione. Del resto basti pensare alla inesistenza di una qualsiasi politica dei servizi sociali intesa non solo nel senso di aggiustare alcune carenze della società, ma soprattutto di individuare quelle occasioni idonee a un cambiamento, a un salto di qualità dell’organizzazione sociale.
Nella storia di questo Stato, della sua formazione, obbiettivamente mancano le ragioni che avrebbero potuto rendere possibile una politica e un impegno orientati in questa direzione. In questo senso ci dibattiamo nei confini angusti di un’organizzazione borghese la quale oggi è in crisi appunto perché chiamata a fare i conti non solo con le leggi dell’economia, ma anche con questioni la cui soluzione presuppone diverse gerarchie di valori.
Competitivismo, produttività sono oggi concetti non più acriticamente accettati ed è ozioso in questa sede giudicare se sono in crisi perché non sono mai stati saldi o perché si mostrano adeguati alla domanda di nuovo che viene dal paese e innanzitutto dalle masse femminili. Questo è un discorso che riguarda la teoria, il dibattito culturale e sfiora soltanto la sostanza della battaglia politica. Sarebbe un errore, una grande superficialità per esempio voler vedere nelle affermazioni e nelle risposte delle donne intervistate da Maricla Boggio soltanto il fallimento del modello capitalistico della società e di tutte le situazioni che la animano. Il discorso invece è un altro e ben più esaltante poiché non riveste soltanto il carattere della denuncia di un fallimento ma apre prospettive tutte nuove. I personaggi della boggio non chiedono ovviamente perdono, o tolleranza alla società: dalle loro parole emerge qualcosa di segno tutto opposto, emerge la sfida che queste donne muovono dai loro ghetti a questa società. In questo senso – e non vuol essere un’espressione retorica - le “ragazze madri” si presentano come alcune delle protagoniste del grande scontro per il cambiamento nel quale le masse femminili occupano oggi una collocazione centrale. Forse è un caso, ma molto più probabilmente è la manifestazione di qualcosa di più profondo e significativo: questo libro esce in un momento nel quale si acuisce e aumenta nel nostro paese la febbre delle libertà civili. Nel momento cioè nel quale si è colto in tutto il suo valore il legame tra diritti civili e democrazia, l’identificazione tra l’allargamento dei primi e lo sviluppo della seconda. L’Italia che un anno fa ha detto no all’abrogazione del divorzio, oggi dice sì all’aborto, ma dice anche sì alla possibilità effettiva di non abortire: reclama cioè non solo una società più moderna, ma soprattutto una società più giusta, fondata su valori che possano garantire una rigenerazione permanente dei criteri, delle ragioni ideali e culturali per le quali una società può definirsi moderna e civile. Dal libro della Boggio tutto questo viene fuori con forza e soprattutto emerge un grande contributo all’impegno di quanti verificano e ravvivano la propria scelta di rinnovamento non tanto sulla base della consapevolezza e della denuncia del vecchio quanto di una volontà coerente di costruire il nuovo.



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